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Il ponte dell’8 dicembre mi ha permesso di staccare un po’ la spina da tutto quanto e dedicarmi al Natale che amo alla follia: regali, panettone, candele, lucine, casa. Inizio il countdown a Natale appena tornata dalle vacanze estive e, fosse per me, farei l’albero il primo novembre (magari pure prima).
Nel mio pieno spirito natalizio, però, la scorsa settimana mi sono ritrovata arrabbiata, un po’ per le solite cose e un po’ per le cose del mondo. Per affrontarle e fare ordine nei pensieri, di solito cucino, cammino, leggo e mi annoio un po’. E sì, la noia è sottovalutata.
Comunicazione efficace: ma cosa vuol dire?
Da qualche settimana sono impegnata in una docenza in azienda con due sessioni: due gruppi diversi in due giorni diversi. Arriveremo fino a Natale. Il monte ore a disposizione è tanto, anche se negli ultimi due incontri di settimana scorsa è emerso che “(per)corsi così non dovrebbero avere scadenza” (lo hanno detto le persone sedute intorno al tavolo con me, non lo dico io, anche se, a parte l’orgoglio personale, non posso che essere d’accordo). Lavorare sulla comunicazione efficace dovrebbe essere uno di quei percorsi continuativi nelle organizzazioni, grandi e piccoli non importa.
Il tema (la comunicazione efficace, appunto) è un argomento tanto ampio quanto complesso, anche perché lo stiamo progettando insieme. Sono arrivata con un processo macro, fatto di passi da affrontare, argomenti, obiettivi (una roadmap, una mappa che tocca diversi step) e insieme lo stiamo progettando per affrontare tematiche quotidiane e non solo che partono dal concetto stesso di comunicare, dal linguaggio, dall’ascolto e dalla vera comprensione e arrivano alla collaborazione e alla progettazione di esperienze digitali e analogiche, cross-canale. Curiamo ogni passaggio, apriamo e chiudiamo (fase divergente e fase convergente), creiamo prototipi e li testiamo.
Nell’immaginario, un corso di comunicazione efficace rimanda sempre a una comunicazione dall’interno verso l’esterno e, invece, il più delle volte, ci si accorge che la buona comunicazione parte dall’interno alle organizzazioni. Ci ha mai fatto caso?
Ci preoccupiamo di cosa pubblicare sui social, di cosa scrivere nel blog, sul sito, nella newsletter, nel materiale promozionale in generale e diamo poca importanza a tutto ciò che facciamo all’interno delle organizzazioni. E di come in tante organizzazioni ci sia ancora un flusso che parte dall’alto sulle cose da fare, come farle, senza aggiungere condivisione, ascolto, confronto. È ovvio che la direzione debba arrivare dall’alto, ma credo che vada condivisa con le persone che lavorano con noi, prima che sia un manifesto scritto da lanciare nel mondo là fuori.
Emerge spesso (non solo in questo caso specifico) che in azienda non si parla, non si ascoltano le istanze, i suggerimenti, le richieste e la volontà di voler cambiare le cose (alcune) insieme. E non parlo delle lamentele fini a sé stesse, ma di quella voglia e volontà di far parte di un cambiamento culturale che non può che portare benefici, prima dentro e poi fuori. Le organizzazioni sono vive, sono fatte di persone. E quel che succede dentro è spesso lo specchio di ciò che succede là fuori (clienti, user, consulenti, ecc).
Penso a chi per far funzionare meglio le cose mette mano al “abbiamo sempre fatto così” e sperimenta modi nuovi di lavorare e organizzare il lavoro chiedendo alle persone che quei flussi li vivono ogni giorno, di partecipare alla (ri)progettazione. È di sicuro più faticoso, perché significa smontare e rimontare di continuo, significa maggior tempo investito nell’ascoltare e ascoltarsi, nel provare, testare e aggiustare il tiro.
Roberta Zantedeschi si chiede se le aziende abbiano un dialogo interiore che permetta loro di evolvere, cambiare, trasformarsi, accogliere nuove sfide o, viceversa, che ne ostacoli il cambiamento e si resti in quel solito “abbiamo sempre fatto così” che ben conosciamo. Quel dialogo è frutto ed è alimentato da ciò che esprimono, in modo più o meno esplicito, le persone nel quotidiano.
E allora? Credo che parlare di comunicazione efficace sia fondamentale. Prima di ogni altra cosa, però, vanno ascoltate le persone per iniziare davvero a comprenderle, coinvolgerle e, con il loro aiuto, cambiare e far succedere le cose.
Quello che succederà al corso è un divenire, perché siamo ancora nel mentre e in un durante che ha tutto ciò che amo di più quando faccio esperienze di questo genere: l’inaspettato, il fare insieme e la sfida.
Quel che so è che c’è tanta voglia di imparare, di mettersi in gioco, di provare a cambiare punto di vista, di sperimentare, di chiedersi cosa ha funzionato e cosa no, di provare a uscire dai soliti schemi che ci imbrigliano in soluzioni preconfezionate legate a un passato che, ormai, non funziona più.
E di vedere come va, perché ci stiamo provando con consapevolezza e responsabilità.
Che poi, alla fine, basta davvero mettersi in ascolto, buona volontà, e voglia di provare a cambiare le cose. In meglio.
Buon inizio settimana,
Tatiana (e Chiara)
📃Il nostro sito
Un modo nuovo e migliore per fare le cose c’è. E se non c’è può essere progettato. Cosa vuol dire progettare nella complessità?
📍Cose che hanno lasciato un segno
Fare retrospettiva: alla fine di ogni incontro, corso, co-design propongo una retrospettiva per capire cosa ha funzionato bene, cosa meno e cosa proprio no. È un esercizio importantissimo da fare sempre per migliorare e migliorarsi. Lo ha detto anche Ilaria Mauric
Personal branding: «quando ti prendi cura del tuo personal brand, in modo intenzionale, consapevole e strategico, ti connetti con maggior intensità a quello che fai»
Il funerale di Giulia Cecchettin e il meraviglioso discorso del padre
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Questa settimana ho ascoltato le prime puntate di Il corpo giusto, il podcast di Anna Venere e Martina Pellegrini, dove si smontano stereotipi e luoghi comuni tipici della cultura grassofobica in cui viviamo. Sono puntate parecchio lunghe ma se il tema ti incuriosisce è molto interessante lo consiglio. Se invece sei più da libri allora ti consiglio Belle di faccia di Chiara Meloni e Mara Mibelli, scritto qualche anno fa ma ancora molto attuale.
Sempre a tema decostruzione, ma in questo caso del patriarcato, mi è finalmente arrivato un libro che aspettavo da tanto e che conto di leggere durante le vacanze natalizie: Il capo, di Francesco Pacifico, è un romanzo ma anche “una riflessione sul potere, il desiderio e la manipolazione: quella intellettuale, quella economica e quella che si compie inevitabilmente raccontando una storia” (dalla sinossi di Mondadori Store).
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Ho trascorso questo lungo weekend facendo cose: ho sfornato due panettoni ben riusciti, letto, ascoltato, cucinato.
Rivoluzione Z di Giulia Blasi è bellissimo, tanto che ho pensato di regalarlo a Natale ad alcune persone adolescenti. Ho finito Non sono sessista ma… di Lorenzo Gasparrini (consiglio tutti i suoi libri).
Ho ascoltato i miei soliti podcast de Il Post: Morning e Morning weekend, Amare Parole, Cosa c’entra, Comodino. e la nuova puntata di Indagini. Questa mattina Francesco Costa ha detto che c’è la nuova puntata solo per chi è abbonato e ha segnalato una nuova uscita: Wild Baricco una conversazione di oltre due ore con Alessandro Baricco, un podcast-intervista condotto da Matteo Caccia del Post e prodotto insieme e grazie a Feltrinelli.
Ho visto e finito Bodies su Netflix e iniziato Non ci resta che il crimine. Mi preparo alla mia maratona di film di natale per le vacanze.Ho ascoltato i miei soliti podcast de Il Post
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
La settimana è bella ricca e piena di cose da fare: inizia un percorso di formazione aziendale, nuovi progetti, nuovi incontri. Insomma, non ci si annoia. ;)
📍Note a piè di pagina
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questi simboli: « ǝ», «з»
Cosa significano? Sono simboli fonetici [schwa (o scevà)] utilizzati per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Il simbolo fonetico /ə/ si usa per le desinenze al singolare. Lo schwa lungo /3/ invece per il plurale. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
📍Note a piè di pagina/ 2
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. Qui i dettagli.
È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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