Circondati di persone più capaci di te
La paura di non essere “abbastanza” limita la nostra capacità di scelta delle persone di cui fidarci e con le quali confrontarci.
La scorsa settimana ho avuto a che fare con un paio di esempi di incompetenza e un paio completamente opposti. Ne ho tratto una lezione che vorrei diventasse parte del mio abituale modo di decidere: circondarmi di persone più capaci di me.
E credo dovrebbe far parte del bagaglio di ogni titolare di impresa.
Io sono Chiara e questa è la newsletter di Kanji, quella che parte ogni lunedì mattina per arrivare alla tua casella di posta. Se te l’hanno inoltrata e vuoi iscriverti, puoi farlo da qui.

Partiamo dal concreto, quattro esempi a cui ho assistito negli ultimi dieci giorni.
Una persona responsabile di area chiede a una persona di un sotto-team di diventarne la coordinatrice. Lei accetta, ma la decisione non viene formalizzata e condivisa dalla responsabile di area e così iniziano i guai: le persone del sotto-team sono disorientate e il team si spacca in due, con persone che non si parlano e non collaborano tra loro.
Una persona che si occupa di contabilità chiede al commercialista di riferimento della sua impresa una delucidazione su come procedere su uno specifico obbligo. Lo studio commercialista si nega per un paio di settimane per poi dare, all’ultimo momento e sotto scadenza, un’indicazione incompleta che obbliga la persona a svolgere un lavoro superfluo e in urgenza.
Una persona responsabile di un team deve decidere chi prenderà il suo posto quando lei diventerà responsabile dell’intera area cui quel team appartiene. La persona naturalmente più indicata (la più esperta del team dopo di lei) non è pronta per quel ruolo perciò la responsabile decide di assumerne una più formata. La responsabile condivide e spiega la sua scelta alla persona interna che capisce e fa subito squadra con la nuova arrivata per guidarla e supportarla in tutto ciò che non conosce. Questa impresa, nel giro di un paio di anni, ha due manager capaci invece di uno e può far fronte alla crescita in modo organico e naturale.
Una persona titolare di impresa deve prendere un’importante decisione, ma ha dei dubbi a cavallo tra normativo e strategico. Si confronta con la consulente che le consiglia di allargare la domanda ad altre due persone specializzate in quell’ambito, perché i temi toccati sono molto importanti per il futuro dell’impresa e serve capire in modo approfondito i rischi e le opportunità collegate alle decisioni in corso. Questa impresa è riuscita a rivedere il sistema premiale delle sue risorse umane, in modo tale che rispetti la legislazione in materia di lavoro e sia allineato con gli obiettivi di business che vuole raggiungere.
Chiunque di noi ha visto capitare nei contesti in cui ha lavorato una o più varianti dei primi due esempi.
Meno spesso mi è capitato invece di vedere esempi virtuosi come gli ultimi due, dove chi si è trovato a dover prendere una decisione difficile, o a trattare un tema complesso, ha preferito rompere lo status quo e chiedere aiuto a persone più capaci di quelle disponibili in prima battuta.
Circondati di persone più capaci di te
Detto così sembra banale, ma credo che sia molto difficile da applicare nella cultura aziendale dell’impresa tradizionale. Io vedo due grandi motivi alla base di questa difficoltà.
Abbiamo paura del fallimento
Quando qualche newsletter fa ho scritto degli errori che avevo commesso, mi sono arrivati molti commenti privati che celebravano il mio coraggio per l’ammissione pubblica dei miei limiti. Questo perché, nonostante sui social si vedano spesso post di celebrazione del fallimento, in molti contesti è ancora un tabù difficile da nominare e ancor di più da interpretare con serenità.
Ammettere di aver preso una decisione sbagliata, di non conoscere una risposta o, più in generale, di non essere in grado di soddisfare le aspettative che il contesto riversa su di noi ci fa sentire inadeguatз, incapacз, fallenti.
Abbiamo paura di disattendere le aspettative che l’immaginario collettivo abbina al nostro ruolo professionale: chi è responsabile di un team deve essere capace di gestire le risorse umane che coordina, chi affianca le imprese deve avere tutte le risposte, chi esegue un lavoro deve farlo al meglio.
Ma non sempre il meglio delle nostre possibilità è il miglior livello possibile.
A volte, per raggiungere collettivamente il meglio possibile, dobbiamo essere in grado di fare individualmente un passo indietro, ammettere un’ignoranza, o un’incapacità.
Interpretiamo in modo riduttivo il concetto di responsabilità
Il command & control di origine militare non garantisce più buone performance nel modello attuale di impresa o, quanto meno, non nel modo tradizionale di intenderlo.
La concezione del lavoro tradizionale è una visione semplicistica che non funziona più: non è più vero che chi sta più in alto nella gerarchia di un’impresa è chi conosce il mestiere e sa fare in prima persona tutto ciò che serve fare.
Lo vediamo ogni giorno per tutto ciò che è digitale, ma anche per ciò che è tecnicamente all’avanguardia. Oggi le competenze necessarie sul mondo del lavoro sono talmente tante e variegate che chi è responsabile non può sapere tutto ciò che serve. Ma non può nemmeno limitare il suo agire solo a ciò che sa fare in prima persona.
Ad esempio, molte imprese oggi hanno bisogno della data science nei loro team di lavoro, ma quasi nessuna titolare di impresa è stata una data scientist, prima di passare a dirigere l’intera impresa.
Il concetto di responsabilità di impresa e quello di responsabilità di chi riveste ruoli di management, sono sui risultati, anche se non capisce fino in fondo come sono stati realizzati nella pratica, anche se non saprebbe replicarli in prima persona in modo autonomo.
Prima lo ammettiamo e prima otterremo performance migliori.
Quando deleghiamo non dobbiamo decidere tempi, mezzi, modalità e strumenti, ma dobbiamo limitarci a condividere i vincoli entro cui muoversi e avere il coraggio di lasciare libero tutto il resto, fidandoci di chi abbiamo nel nostro team e che le loro capacità siano migliori delle nostre. Se temiamo che facciano poco e male, abbiamo sbagliato il primo passaggio, ci siamo circondati di persone meno capaci di noi, ed è questo il punto da cui ripartire.
Per il mio futuro, voglio riuscire sempre più spesso a chiedere aiuto e supporto a persone
più esperte e competenti di me, rispetto al compito da eseguire
migliori di me in una o più soft skill, così che io possa apprendere dal loro esempio e migliorare per imitazione
più capaci, attente o veloci di me a fare quel lavoro che ho sempre fatto, ma che ora devo delegare, anche se il loro modo è diverso dal mio. Perché diverso non è sbagliato, anzi. A volte è pure meglio.
Buon lunedì, buon miglioramento,
Chiara (e Tatiana)
📃Abbiamo parlato di
A tema persone, abbiamo parlato di
📍Cose che hanno lasciato un segno
Cathy La Torre inaugura un ciclo di webinar rivolti chi desidera costruire nella propria azienda un clima migliore
Manager tossici, l’ultima newsletter di Alessia Camera
In che modo possiamo impedire che donne muoiano per mano di uomini che non accettano una separazione, un rifiuto, uno o più no? Le risposte al post di Roberta Zantedeschi su LinkedIN
Una valigia chiamata tempo, l’ultima newsletter di Debora Montoli
L’AI non è solo un motore di automazione, ma un'opportunità per ripensare il modo in cui le persone interagiscono con i prodotti digitali. Dal blog di Tangible.
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Ho finito Inventing Anna, serie Netflix ispirata alla storia della truffatrice Anna Sorokin, e mi è piaciuto molto il sottotesto di tutta la serie: spesso abbiamo più bisogno di credere alle storie, e alle bugie che inventiamo per noi stessз, più che fare fact-checking e guardarci dentro cononestà intellettuale.
Ho adorato la prima stagione della serie animata Mistery Lane, su RaiPlay, dove la cricetina Clever risolve casi emozionanti insieme a suo fratello Bro. Spero vadano avanti nella produzione al più presto.
Continuo a piccole dosi con Il cigno nero, il saggio di Nassim Nicholas Taleb, e la penultima puntata di Tutti gli uomini, di Irene Facheris, uno dei podcast più arricchenti che abbia mai ascoltato.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Letture. Finito La camera azzurra di Georges Simenon, sono alla ricerca di un bel romanzo in cui immergermi. Nel frattempo, ho iniziato Chiamami così: Normalità, diversità e tutte le parole nel mezzo di Vera Gheno.
Ascolti. Tanta musica nelle orecchie, in questi giorni: camminando, facendo cose, tra cui cucire e sistemare abiti, pantaloni e giacche, e preparando l’orto in balcone.
Proseguo invece con i soliti ascolti: la seconda stagione di Sigmund, Orazio di Matteo Caccia, Morning con Nicola Ghittoni, Amare parole di Vera Gheno, Ci vuole una scienza con Beatrice Mautino ed Emanuele Menietti.
Visioni. Proseguo con The Blacklist (3^stagione) e La porta rossa (RaiPlay). In questi giorni spero di iniziare Adolescence (sono molto curiosa).
Tra le serie un po’ abbandonate, The White Lotus (Sky/NowTV).
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
Questa settimana abbiamo in programma una retrospettiva su un test di processo che abbiamo messo in piedi un paio di mesi fa. Mentre andiamo avanti sui vari progetti in corso, con la solita triade di incontri, call e trasferte.
📍Informazioni di servizio
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questo simbolo: « ǝ». Cosa significa? È un simbolo fonetico [schwa (o scevà)] utilizzato per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
Vuoi condividerla? Puoi usare il bottone qui sotto.