"Operations" a cuore aperto
Non salviamo vite ma forse possiamo migliorare la qualità del tempo passato a lavoro
Io sono Chiara e questa è la newsletter di Kanji, quella che parte ogni lunedì mattina per arrivare alla tua casella di posta. Se te l’hanno inoltrata e vuoi iscriverti, puoi farlo da qui.
La scorsa settimana Tatiana e io abbiamo seguito un corso sul DesignOps condotto da Patrizia Bertini che ci ha permesso di unire tutta una serie di puntini, che qui in Kanji è il mantra, su quello che stiamo portando avanti nelle aziende e non solo.
Come al solito, pur assorbendo gli stessi input, Tatiana e io ne tiriamo sempre fuori riflessioni differenti (perché partiamo da mindset differenti) che poi, alla fine, si uniscono nelle conclusioni, in una forma di conoscenza più ricca.
Cerco sempre di scrivere in modo chiaro e semplice. E nel tempo mi sono resa conto di quanto questa ambizione sia più facile da soddisfare quando parlo di cose che conosco bene, e che viceversa, risulti essere difficile negli argomenti che pratico meno. Per fortuna c’è l’editing di Tatiana che mi aiuta a segnalare prima, e sbrogliare poi, le frasi più contorte che mi escono dalla tastiera, frutto e riflesso del garbuglio che c’è nella mia mente. Ma mi piace sciogliere nodi, è quello che facciamo con Kanji (per unire i puntini), ed è quello che provo a fare ogni giorno anche dentro quel casino che è la mia testa. ;)
Operations, Ops per gli amici
Le operations, nella teoria classica della gestione d’impresa, sono tutte quelle attività collegate alla realizzazione del prodotto/erogazione del servizio, che hanno una forte componente operativa ma che, prese nella loro interezza, svolgono un ruolo strategico fondamentale per l’impresa. Non solo perché senza di esse non c’è creazione di valore, ma soprattutto perché il loro funzionamento in modo coordinato ed efficiente porta a migliorare i risultati dell’intera impresa. In una frase, a generare valore e impatto, dentro e fuori le organizzazioni.
Di operations se ne parlava solo nelle grandi aziende, perché nelle piccole, dove non ci sono differenti rami funzionali per le diverse attività (produzione, logistica, ricerca&sviluppo, ecc.) è più facile limitarci a distinguere tra attività operative e attività amministrative/di supporto.
Da qualche anno a questa parte, invece, il termine operations è entrato anche nelle micro imprese, partendo da quelle incentrate sui servizi digitali (sviluppo software, web agency, ecc.), perché il mondo si è fatto più complesso e per farvi fronte ognuno prova a fare come può, spesso prendendo ispirazione da competitor più grandi/più anziani/più solidi (con buona pace della disruptive innovation, ma tant’è).
E così sono nati nuovi concetti come DevOps, MLOps, ResearchOps, DataOps, DesignOps, ProdutcOps che hanno tutti una radice comune: rendere il lavoro (nel suo complesso) più semplice, facilitando la comunicazione e la condivisione tra le diverse funzioni aziendali.
Come ci ha detto Patrizia Bertini durante il corso in tema di DesignOps, ma che vale per tutte le diverse declinazioni di operations, il valore dell’insieme di attività che sta sotto il cappello “ops” è quello di ottimizzare e ridefinire processi, modalità di lavoro e relazioni tra i diversi ruoli aziendali e quindi, in ultima analisi, tra le persone che li ricoprono. Non sono una rivoluzione nel modo di lavorare ma un’evoluzione necessaria dovuta alla complessità crescente di qualunque attività lavorativa, per lavorare meglio e quindi generare valore per le persone (migliore distribuzione dei carichi, migliore gestione di processi, minor spreco di risorse) e per il business (clima migliore, più velocità, più chiarezza e più efficienza).
Quello che trovo di diverso, ed estremamente utile, nel DesignOps rispetto alle Operations più tradizionali è quello che caratterizza il design stesso, cioè l’intenzionalità espressa nel far funzionare le cose rispetto a un obiettivo, tenendo conto dei vincoli del contesto dentro il quale tale progettazione si esprime. Tiene cioè conto dell’obiettivo principale di ogni ottimizzazione che non è risparmiare risorse, ma ottenere un risultato pari o migliore al passato, semplificando e/o minimizzando le risorse impiegate.
Non voglio insegnare niente a nessuno, l’organizzazione del lavoro e la gestione del cambiamento sono materie di studio da quasi cent’anni e non sarò certo io ad aggiungere qualcosa di nuovo in materia; quello che però posso fare, prendendo spunto dal DesignOps, è applicare con una maggiore consapevolezza modelli, schemi, canvas consolidati, per unire design thinking e change management in un approccio trasformativo, condiviso e centrato sulle persone (cit. Patrizia).
Piccole Operations a cuore aperto
Al di là delle mode e della voglia di emulare chi è più grande di noi, quando ha senso parlare di operations nelle piccole imprese?
Credo che siano due gli elementi da prendere in considerazione in questi casi:
il fatto che che nelle aziende dove lavorano una decina di persone succede che ognuna ricopra più di un ruolo e quindi, per un motivo o per un altro, ha sempre a che fare con uno o più altri ruoli dell’azienda, in modo quotidiano e ripetuto.
il fatto che una fetta sempre più consistente di persone rientra tra i knowledge worker, cioè persone che di lavoro pensano, elaborano, progettano, fanno ricerca. E questo tipo di persone ha un peso determinante nelle strategie di business, perché la qualità del loro tempo lavoro è direttamente proporzionale alla qualità del valore (e quindi del margine) che un’azienda è in grado di portare.
Con questa visione in mente, cosa significa portare il DesignOps nel contesto della piccola impresa? Per trovare una risposta sensata, diventa allora importante chiedersi:
come possiamo lavorare meglio?
Quali regole possiamo condividere per garantire flessibilità e performance?
Quali nodi dobbiamo sciogliere per aumentare l’efficienza?
Quali sono le attività o le funzioni che generano blocchi e perché li generano?
Quali sono le attività fondamentali per tenere tutto insieme e come possiamo svolgerle al meglio?
Il DesignOps, e il design thinking in generale, aiutano a farci buone domande per individuare i “problemi”, smontarli e iniziare a risolverli. Uno per volta. E poi a far funzionare bene le cose.
Buon inizio settimana, buona ricerca delle risposte,
Chiara (e Tatiana)
📃Il nostro blog/la nostra newsletter
Sul nostro blog è uscito un nuovo articolo a firma di Tatiana proprio sul DesignOps, lo puoi leggere qui.
📍Cose che hanno lasciato un segno
In Italia si parla ancora poco di DesignOps. Per fortuna c’è DesignOps Italia
Lo scorso 1 dicembre, UX Dolomiti in collaborazione con Architecta, ha organizzato un evento tutto centrato sul DesignOps. Dicono sia stato perfetto! Dicono che è ora che in Italia se ne parli di più.
Qui invece un resoconto puntuale della giornata Ops a Trento di Domenico Polimeno.
Lo scorso 30 novembre, Stefano Bussolon ha invitato Marco Bertoni a Radio UX. Arriverà anche la registrazione. Per ascoltarla, basta iscriversi al canale Telegram
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Niente di nuovo sui soliti fronti: continuo con il podcast Neurolex, con The Marvelous Mrs. Maisel su Netflix e con Sentiti bene nella tua casa di Frida Ramstedt per la lettura su carta.
Però sto facendo parecchia formazione e aggiornamento, non solo sul DesignOps, perciò mi sento comunque soddisfatta.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Domenica ho partecipato all’evento conclusivo di Librintreccio, una proposta meravigliosa che permette a diverse persone di regalare e ricevere un libro. La domanda che mi sono fatta è stata: perché non ho partecipato prima? Ho avuto l’occasione di conoscere belle persone, parlare di libri, chiacchierare amabilmente e scoprire cose nuove. Il libro che ho ricevuto? Il club delle lettere segrete di Angeles Donate. Susanna che me lo ha regalato non aveva alcun tipo di indicazione (io non ne ho date) e ha scelto un libro che aveva letto e che le era piaciuto. Io invece dovevo scegliere un libro per Sara che mi aveva lasciato due indicazioni: amare risolvere misteri e i gatti. La gatta ha visto tutto di Dolores Hitchens mi è sembrata una scelta perfetta.
Nel frattempo, sto leggendo Tre ciotole di Michela Murgia e Non sono sessista ma di Lorenzo Gasparrini (super super interessante se vuoi riflettere e capire meglio come il linguaggio possa generare pensieri (patriarcali e sessisti).
Ho ascoltato i miei soliti podcast de Il Post: Morning e Morning weekend, Amare Parole. Ho già salvato le due nuove puntate di Indagini di Stefano Nazzi che mi ascolterò nei prossimi giorni (ne sono fanatica!)
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
Settimana di corsi, trasferte e deep work sui progetti avviati, andiamo dritte a testa bassa fino a Natale.
📍Note a piè di pagina
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questi simboli: « ǝ», «з»
Cosa significano? Sono simboli fonetici [schwa (o scevà)] utilizzati per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Il simbolo fonetico /ə/ si usa per le desinenze al singolare. Lo schwa lungo /3/ invece per il plurale. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
📍Note a piè di pagina/ 2
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. Qui i dettagli.
È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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