Parliamo di rilevanza
Quando la relazione tra un brand e una persona diventa complicata è utile (ri)pensare all’esperienza.
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La scorsa settimana ho dovuto affrontare un problema. Diciamo che, dopo una lunga relazione, piacevole e sincera, con un brand, il rapporto è diventato complicato.
Prima o poi succede: dopo un periodo tranquillo, qualcosa nella relazione si rompe. A volte irrimediabilmente, altre invece qualcosa può essere recuperato. Prova a pensare a tutte le volte in cui è successo che, a un certo punto della tua esperienza, un brand ti deludesse. Sono una persona piuttosto fedele quando si parla di scelte di brand. Se lo scelgo, è difficile che cambi idea. A meno che succeda qualcosa di irreparabile, come sentirsi presa in giro. O, peggio ancora, quando la promessa viene infranta.
Una questione di rilevanza
Il successo di un’azienda o, ancora meglio, di un brand, dipende da quanto quel brand riesce a essere rilevante per le persone, in qualsiasi momento dell’esperienza, qualsiasi sia il punto di contatto attraverso il quale entrano in relazione. Questa è la definizione che do quando parlo di customer experience: il processo attraverso cui le persone (clienti) interagiscono con un’organizzazione attraverso tutti i suoi canali, i punti di contatto, fisici e digitali, e le persone.
Si parla tanto di esperienza, e spesso si fa confusione tra diversi termini. Anzi, forse è la parola stessa che è abusata e usata anche a sproposito. Se parliamo di ´esperienza` non possiamo dimenticare che non basta attivare un customer care o un customer service, ma serve pensare e progettare un percorso e un viaggio che permetta a chi usa un servizio o si interfaccia con un brand di restare dentro e di trovare risposte sensate, qualsiasi sia il punto di contatto.
Tornando alla mia relazione complicata, succede che, non trovando una risposta dalla persona direttamente interessata (chi ha seguito il mio caso), provo a parlare e a trovare risposte attraverso altri touchpoint (il mio profilo, il telefono della sede), finché non provo l’assistenza telefonica (customer service), cliccando su “parla con noi”. Nonostante la persona dall’altro capo del telefono sia stata disponibile, non mi ha aiutata a trovare una soluzione al mio problema, anzi. È riuscita ad agitarmi e ad aumentare uno stato di ansia che già saliva. Quindi prenoto un appuntamento per il lunedì mattina (oggi), aggiungendo una nota di dettaglio sul mio problema e su cosa aspettarsi da me (emozione: rabbia e frustrazione). Ho addirittura usato il maiuscolo per una parola. Chi mi conosce sa che il maiuscolo non lo uso quasi mai.
Parlare con un essere umano quando si sta vivendo una situazione di ansia e preoccupazione è fondamentale quando non si può risolvere in autonomia. E parlare con chi conosce già il problema, senza dover rispiegare daccapo tutta la vicenda, ha di certo più valore. E qui emerge un altro elemento fondamentale della customer experience: l’annullamento dei silos a favore di una omnicanalità efficace.
Succede più di quanto si creda: il reparto commerciale non parla con il marketing e le persone del customer care o del customer service non hanno accesso alle informazioni (o non conoscono tutte le procedure) e mettono in attesa chi si trova all’altro capo a suon di Per Elisa o Inno alla gioia.
Questo breve racconto è una sintesi del customer journey, il viaggio che ho compiuto in relazione al brand e alla situazione.
La mappa di un prima, durante e dopo (nel mio caso, il dopo non è ancora avvenuto).
(Customer) journey map di una relazione complicata
La (customer) journey map serve a esplorare, comprendere, visualizzare e mappare i percorsi che le persone compiono, i loro comportamenti quando si interfacciano con un sistema, un prodotto o un servizio. Serve a capire come, quando e perché una persona entra in contatto con un’organizzazione e cosa sta cercando (di ottenere), come si sente e cosa prova, quale touchpoint usa, e serve all’organizzazione per capire quali sono i punti dolenti (pain point) su cui è importante lavorare e le opportunità da cogliere per offrire un’esperienza degna di questo nome.
A volte, non basta.
È tutto molto più complesso quando l’azienda è grande, ma non lo è da meno anche in una piccola realtà. Fare attenzione e mappare il processo è la conditio sine qua non per qualsiasi realtà. Ma mappare senza poi agire è fallimentare. Senza attuare miglioramenti e azioni per colmare quei vuoti significa buttare opportunità. Senza condividere la responsabilità con le persone che rispondono al telefono o che hanno in carico un progetto, che mandano mail discutibili (vogliamo parlare dell’ufficio amministrativo che rompe la magia dell’esperienza con un gelido “di cui all’oggetto”?).
Un sistema azienda è fatto di uffici, funzioni, strumenti e, soprattutto, è fatto di persone. Persone che scelgono di esserci e di sbattersi per risolvere problemi.
Ammetto che mi sono chiesta più e più volte se il mio (sfortunato) caso sia solo un episodio dovuto all’incompetenza di una persona o se invece il sistema azienda non sia più quello di prima. Quello della promessa, quello de «Ci prendiamo cura dei nostri clienti con l’eccellenza dei nostri prodotti, dei nostri servizi e dei nostri comportamenti». Perché è con quell’eccellenza dei nostri comportamenti che io mi sono scontrata (e il motivo per cui ho scelto quel brand ormai 25 anni fa). Può un singolo episodio (e una singola persona) mettere a repentaglio una relazione di fiducia? La risposta è, come sempre, dipende.
Dipende, nel mio caso, da come andrà a finire.
Buon inizio settimana,
Tatiana (e Chiara)
📃Il nostro blog/la nostra newsletter
Customer journey map: cos’è e perché ha senso lavorarci.
📍Cose che hanno lasciato un segno
La customer experience è cruciale e fondamentale, anche alla luce delle novità che vedremo nell’ecosistema Google.
Perché nelle PMI il Customer service non funziona
L’organizzazione strategica di un’organizzazione si basa anche sulla ricerca.
Come sviluppare le proprie capacità di pensiero strategico e stare sempre un passo avanti
Anche gli avvocati, come tutte le persone di questo mondo, preferiscono i testi più facili da leggere e capire. (Grazie a Giorgio Trono)
Per la serie grandi domande: la maglietta di Stephen King (da Pietro Minto)
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Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Questo weekend lungo abbiamo sfruttato i brevi momenti senza pioggia per inaugurare il nuovo barbecue, girare per Biella, a piedi e in bici, e fare un ultimo saluto alle giostre della fiera.
Niente libri per l’intera settimana, ero troppo impegnata a voler finire Crash landing on you, con tanto di ore piccole e fiumi di lacrime negli ultimi due episodi. L’ho amato tanto, grazie Valentina per il consiglio!
Lato podcast continuo a rilento con la seconda stagione di Dungeons&Deejay, un podcast in cui un appassionato di giochi di ruolo mette al tavolo cinque persone che non hanno mai visto nulla di simile in vita loro, e li fa giocare a DnD.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Un fine settimana all’insegna del fare (ho cucinato tantissimo e ho visto il mare!): ne ho approfittato per ascoltare buona musica, l’audiolibro di Alessandro Baricco La via della narrazione e qualche puntata di Wolf e di Muschio selvaggio i podcast condotti da Fedez.
Proseguo con Morning ogni mattina, Amare Parole la domenica. La puntata di domenica di Amare Parole si sofferma sul linguaggio del giornalismo in particolare per un caso di cronaca di poco tempo fa. Dal prossimo 10 giugno, Morning sarà anche nel weekend e sarà condotto da Luca Misculin. Insomma, un altro buon motivo per abbonarsi a Il Post.
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
Lo sprint in co-design della scorsa settimana è stato intenso e super interessante. Sono emersi un sacco di insight utili per progettare il futuro. Questa settimana ci dedichiamo a Kanji: stiamo riprogettando alcune parti dell’esperienza.
📍Note a piè di pagina
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questi simboli: « ǝ», «з»
Cosa significano? Sono simboli fonetici [schwa (o scevà)] utilizzati per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Il simbolo fonetico /ə/ si usa per le desinenze al singolare. Lo schwa lungo /3/ invece per il plurale. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
📍Note a piè di pagina/ 2
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. Qui i dettagli.
È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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