Per cambiare bisogna essere diversǝ
Fedeli alla linea. Senza perdere l'essenza. Coinvolgendo le persone, senza escluderle.
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I fatti di Pisa e Firenze dello scorso venerdì fanno riflettere, oltre che arrabbiare. I video e le foto delle cariche della polizia hanno fatto molta impressione, e molte persone hanno condannato le violenze della polizia. Sabato pomeriggio, il presidente Mattarella ha diffuso una nota, sottolineando che
«l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento».
Quel video è allucinante e mi ritrovo senza parole che giustifichino quel comportamento da parte delle forze dell’ordine, quelle che dovrebbero proteggerci e farci sentire al sicuro, e che invece caricano e picchiano persone che manifestano il diritto di esprimere la propria opinione.
Questi fatti, come quelli degli ultimi tempi anche se meno violenti - dal punto di vista fisico - fanno emergere la paura che se da una parte immobilizza dall’altra attiva la volontà e il desiderio di non stare a guardare, ma di continuare ad agire, a fare, a informarsi e ascoltare e partecipare.
Questi fatti fanno però anche piangere di dolore, perché il ruolo che abbiamo e rivestiamo come persone adulte è di prendersi cura del futuro: ragazze e ragazzi che ci stanno chiedendo di ascoltare quel che hanno da dire. E noi dovremmo solo farlo.
Ascoltare, partecipare, (co)progettare
Come sarebbe questo mondo se riuscissimo ad ascoltare di più, senza fraintesi e con il solo obiettivo di progettare il futuro?
Un futuro che sarà abitato da nuove generazioni a cui toccherà prendere in mano un’eredità di un mondo che sta cedendo da diversi punti: politico, ambientale, sociale e non solo.
Ogni volta che vedo un problema congelare un sistema (un gruppo, un’organizzazione, un team di lavoro, un insieme di persone, una società) penso subito al design, al design collaborativo in particolare. Uno strumento perfetto per mettere a fuoco i bisogni, per smontare un problema complesso, per stimolare la creatività per lavorare in modo diverso, per trovare opportunità e soluzioni, insieme.
Uno degli aspetti più belli, e sfidanti insieme, del design collaborativo è il coinvolgimento di chi ha un interesse in comune sull’oggetto della (ri)progettazione. Nel design, la collaborazione si traduce come capacità di lavorare insieme ad altre persone, dentro e fuori le organizzazioni, al di fuori di una (solita) cerchia ristretta deputata a prendere decisioni strategiche per poi calarle dall’alto. Questo significa anche attivare il motore del cambiamento, della trasformazione, adottando un approccio collettivo e un punto di vista nuovo.
Per cambiare bisogna essere diversǝ
Parlando di trasformazione, penso a realtà organizzative complesse come le aziende, ma non solo. Ho lavorato (facilitato) su alcuni progetti con l’obiettivo strategico di mettere in atto una trasformazione, prima interna e poi esterna, e ne esco tutte le volte rigenerata anche io, nonostante non abbia mai un ruolo attivo sul risultato finale, se non quello di accompagnare alla progettazione di un nuovo modo per.
È interessante che la maggior parte delle volte, questa volontà di trasformarsi parta dal mettere in discussione l’identità di quel sistema. Per cambiare, per mettere in atto una trasformazione, bisogna sentire che qualcosa è cambiato. Se il DNA resta uguale nella promessa e nei valori guida, quel che cambia è come quell’insieme viene condiviso con i bisogni di una o più controparti, prima dentro e poi fuori. Se dovessi formulare la domanda sfida per iniziare questo processo di trasformazione potrebbe essere questa: come possiamo agire per allineare chi si è, cosa si fa e come essere per le persone che hanno a che fare con la nostra realtà?
Coinvolgere le persone e coprogettare con loro permette di allineare gli obiettivi di business con i bisogni delle persone (che, lo so, sembra sempre una frase fatta, ma che ha dentro tutto il potenziale per innescare una vera trasformazione).
Nel prontuario di design collaborativo, Mariacristina Lavazza dice che «ogni parola è una finestra aperta su chi siamo e come interagiamo con il mondo. Ma anche per porsi le domande, quelle potenti, sull’ambiente in cui ogni giorno portiamo il nostro contributo professionale».
Quando ho letto il suo post, una parola in particolare mi ha molto colpita ed è Refusnik, persone a cui venivano rifiutati alcuni diritti, persone messe ai margini.
Ho chiesto a Monica di dare una definizione. Eccola:
«´refusnik` è una persona che rifiuta di conformarsi a una certa norma o autorità, spesso per motivi politici o morali. (...) Il termine è stato esteso a coloro che si oppongono attivamente a un regime o a un'autorità in generale. In altre parole, un refusnik è una persona che si rifiuta di accettare passivamente ciò che ritiene ingiusto o immorale».
Forse abbiamo bisogno di metterci in ascolto e coinvolgere persone messe a margine, persone non ascoltate e comprendere il loro punto di vista. Dentro le nostre organizzazioni, così come fuori, abbiamo bisogno di rompere gli schemi, di sfidare uno status quo che inizia a stare stretto.
Come succede sempre, potremmo trovare punti di vista nuovi e iniziare un viaggio (di vera trasformazione) sorprendente e inaspettato.
Buon inizio settimana,
Tatiana (e Chiara)
📃Abbiamo parlato di
Il co-design è uno strumento di user experience design e si fonda sullo human centered design. Ne ho scritto un articolo per capire cosa è (e cosa non)
📍Cose che hanno lasciato un segno
La nuova newsletter di Cathy La Torre: è partita solo ieri, fai in tempo a iscriverti
Se hai visto True detective hai già capito: «Fai la giusta domanda» è un invito a riflettere sul linguaggio
La più grande raccolta italiana di risorse selezionate per chi si occupa di design e digitale (e ha un nome bellissimo!)
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Continuo con piccole attività in solitudine di grande soddisfazione: martedì scorso è stata la volta del cinema, a guardare Departures, un film giapponese delicato e commovente su un ragazzo che si ritrova a fare il tanatoesteta.
Per il resto continuo con le letture e gli ascolti delle scorse settimane a cui ho aggiunto su Netflix, un’alternanza di Human Resources, uno spin-off di Big Mouth e Blue eye samurai, due cartoni animati molto diversi tra loro ma entrambi consigliati.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Le ultime notizie mi hanno frastornata e fatta arrabbiare (di nuovo). Per fortuna sono circondata da persone belle. La nuova newsletter di Cathy La Torre merita tantissimo.
Ho ripreso la lettura di Branding agile e formula della fiducia di Flavia Rubino. Un piccolo capolavoro che ho sempre a portata di mano sulla scrivania, così come strategic design. Ti consiglio, se non lo hai ancora letto, in tema di collaborazioni radicali e codesign, il libro Radical collaboration. Coinvolgere le persone nella progettazione di esperienze e servizi di Mariacristina Lavazza.
Ho ascoltato la puntata di Globo La morte e la vita di Alexei Navalny, con Anna Zafesova che consiglio. Proseguo con i soliti ascolti dei podcast de Il Post: Morning, Amare Parole. L’ultima puntata di Ci vuole una scienza è una guida di sopravvivenza all’aria inquinata.
Il nuovo album di Mahmood Nei letti degli altri è molto carino e continuo ad ascoltarlo.
Ho scritto un articolo per una rivista sul linguaggio inclusivo che mi è piaciuto scrivere (appena pubblico lo condivido). Senza fonti come Scrivi e lascia vivere, il libro di Valentina Di Michele, Andrea Fiacchi, Alice Orrù sarebbe stato più complicato.
Visioni: terminata anche la quarta stagione di True detective. Credo che tornerò ai vecchi amori per un po’ (un po’ come era successo con ER). Se hai qualche serie TV che mi sto perdendo, scrivimi.
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
Si prosegue con i progetti in corso, altri in partenza e altre cose belle su cui progettare il futuro.
📍Note a piè di pagina
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questo simbolo: « ǝ»
Cosa significa? È un simbolo fonetico [schwa (o scevà)] utilizzato per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
📍Note a piè di pagina/ 2
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. Qui i dettagli.
È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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