Prendere posizione
e fare pace con il fatto che non è mai un esercizio di stile, ma voler far succedere le cose.
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Il festival di Sanremo è finito. E io sto tentando di riprendermi, recuperando ore di sonno perse ed energia. Sono sempre giorni impegnativi per riuscire a seguire ogni cosa, a dare la giusta attenzione. Sono abbastanza soddisfatta del podio, anche se ancora non mi spiego come Mahmood e Ghali non abbiano conquistato il podio.
Del festival non voglio parlare troppo qui, perché so che non suscita l’interesse che invece scatena in me. Ma una cosa la dirò: quel palco, quella settimana rappresenta la cultura del nostro Paese e ne offre uno spaccato. Quello di quest’anno è stato più politico di quanto fosse legittimo aspettarsi. E forse è per questo che il comunicato stampa letto da Mara Venier nel pomeriggio di Domenica In dall'Ariston ha suscitato non poche polemiche.
Prendere posizione
È ciò che dico quando parlo di brand. Perché un'organizzazione (un’azienda, una persona) diventi un brand è fondamentale che prenda posizione e risponda a un insight, ossia a un bisogno manifestato dalle persone. E sul prendere posizione c’è tutta la mia ammirazione e gratitudine per Ghali che è nella mia lista di persone da sostenere e proteggere. Oggi ne parla anche
in .«E ogni parola, gesto, cosa che facciamo è politica, per il solo fatto che occupiamo uno spazio di relazione nel mondo.»
Andare in profondità
La scorsa settimana ho condotto e facilitato un laboratorio di branding strategy design per ritrovare l’identità di un’organizzazione. È stato, come sempre, un lavoro bellissimo e sfidante insieme, perché è un processo che permette di andare in profondità per riemergere con un piano, fatto di consapevolezza. Una consapevolezza che tira fuori pregi e difetti, punti di forza e debolezza, realtà e aspirazione.
Non è mai solo mettere nero su bianco una vision, una mission e un elenco di valori per abbellire una about page di un sito web, di una brochure istituzionale o di un bilancio sociale, ma una scelta di posizione, uno scegliere da che parte stare, dichiararlo e, con i fatti, dimostrarlo, ogni giorno, in ogni singolo canale usato per comunicare e raccontarsi, dentro e fuori l’organizzazione.
Nel progettare questo laboratorio, ho ripensato e ripescato il flusso di lavoro che precede un progetto di branding design.
Reale verso ideale
Questo passaggio è di cruciale importanza per capire e poi comprendere quel che si è e quel che si vorrebbe essere. È difficile e complesso vedere la realtà, soprattutto se limitata agli occhi di poche persone. Di solito, non esiste una visione completa di tutto quello che un’azienda ha e offre e in che modo. Non è mai solo una breve lista di cosa fa, ma anche del come e del perché.
Prima di iniziare un percorso di branding è fondamentale disegnare lo status quo.
Da dove partiamo? Qual è la situazione? Chi è e cosa rappresenta la nostra azienda per l’esterno? E per l’interno?
E solo dopo questa consapevolezza possiamo iniziare a guardare verso l’ideale. E iniziare a disegnare una mappa.
Il brand è relazione
Il valore di un brand (in quanto brand e non solo come azienda) è qualcosa che nasce e scaturisce nella pancia e dal cuore piuttosto che dalla ragione e dal razionale delle persone. È una di quelle cose difficili da spiegare, perché si rifà a sensazioni ed emozioni, a quel che le persone provano interagendo e avendo a che fare con un brand. E, cosa sempre troppo spesso dimenticata, è una verità indipendente da quel che quel brand dichiara. È una connessione emotiva, non funzionale (non solo e solo in minima parte).
Se un brand riesce a veicolare, attraverso le sue azioni, valori, identità e personalità tanto da farli approvare dalle persone, allora può definirsi brand. Altrimenti è un'azienda, una persona, una organizzazione e niente di più.
Il brand è come una persona. E come tale viene giudicata, nel bene e nel male, dalle persone. Nella relazione abbiamo bisogno di avere e dare fiducia, di rispetto reciproco, di essere e di far sentire le persone speciali e uniche, diamo e chiediamo considerazione.
Branding
E, per tutto questo, fare branding significa che deve essere fatto e non solo detto. È un passare dal dire al fare per dimostrare che si sta facendo davvero e non solo una dichiarazione sterile inserita nella presentazione stampata su carta patinata.
´Branding` è un verbo perché significa fare. Significa mettersi al lavoro per scegliere chi essere, chi si vuole diventare per entrare in relazione con le persone.
Tornando al laboratorio che ho gestito e facilitato, è successa una cosa pazzesca. Senza che io intervenissi, senza che chiedessi, a un certo punto una persona ha detto «devo fare attenzione. Il brand di <organizzazione> non sono io, non è quello che voglio che sia, ma quello che rappresenta per le persone». Ed è a quel punto che ho capito quanto sia importante nel mio lavoro togliere: non fare cadere dall’alto nessuna verità, ma aiutare le persone (e i brand nascenti o che rinascono) a formulare le domande giuste da farsi per generare risposte di valore.
Le parole (di un brand) fanno succedere le cose. Le parole (di un brand) sono azioni.
Buon inizio settimana, buon ogni cosa,
Tatiana (e Chiara)
📃Abbiamo parlato di
Cercando un articolo a tema branding sul sito mi ha fatto pensare di scriverne altri. Per ora, è tutto qui.
📍Cose che hanno lasciato un segno
E se Infinite Jest di David Foster Wallace non fosse solo un romanzo, ma una lente attraverso cui guardare il mondo delle piattaforme digitali di oggi? La parola a Gianluca Diegoli
Che città abbiamo progettato per bambini e bambine? Da Ti spiego il dato di Donata Columbro
Occupare spazi di potere per indirizzare le persone è l'opposto di quello che fa la lingua, che prende posizione per far convivere le differenze. Appropriarsi, il nuovo numero di Linguetta
Un libro (toolkit) per scoprire di più sugli archetipi e come usarli per il branding
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Ho letto una newsletter meravigliosa, ricca, densa e che mi ha aiutato a riflettere in modo nuovo su tanti argomenti, parla di agricoltura e sostenibilità, ma anche di fotografia, parole vuote e sguardi condizionati. La puoi leggere qui
Continuano le letture e gli ascolti di settimana scorsa, in questo periodo preferisco dedicarmi ad altre attività: ho provato il percorso SPA in solitudine e l’ho adorato, una serata dedicata solo a me, due ore che sono volate, seguite da una dormita tale da meritare di essere segnata sul calendario.
Nei micro-momenti di stacco continuo con Il ministero della suprema felicità, romanzo di Arundhati Roy ambientato in India, dove l'epica dell’eroe assume una forma decisamente più quotidiana, fragile ma ricca di gesti di amore e di speranza.
Nel frattempo ho finito Benvenuti a Samdal-Ri, il mio ultimo k-drama su Netflix, molto romantico e dedicato, si chiude con una riflessione finale importante: “avere un posto a cui tornare è un sollievo incredibile”.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Una settimana all’insegna di Sanremo non ha lasciato tanto spazio per altro. Da martedì a domenica (anche Domenica In, sì) immersione pressoché totale. Mi ha tenuto compagnia e aggiornata quando il sonno prevaleva Servizio a domincilio, la newsletter di Giulia Blasi (quotidiana solo durante la settimana del Festival, sennò esce ogni martedì)
Sul fronte podcast, voglio segnalarti L’indomabile podcast del Post su Sanremo con Matteo Bordone, Giulia Balducci e Luca Misculin per ripercorrere le serate, scoprire categorie insolite, curiosità e costume. Consigliatissimo!
Amare parole: Vera Gheno ha parlato di una nuova parola che mi ha fatto male: il concetto di domicidio.
La nuova puntata di indagini con Stefano Nazzi (è uscita anche la nuova puntata di Altre Indagini, riservata ad abbonate e abbonati).
L’ultima puntata (della stagione) di Puntino.
Proseguo come sempre con Morning.
Sono in modalità immersione nell’ascolto delle nuove canzoni del Festival di Sanremo 2024. Tuta gold e Casa mia in loop. ;)
Visioni: terminata Mare fuori, proseguo con la quarta stagione di True detective che è pazzesca (a oggi la mia preferita, forse anche meglio della prima. Ma è presto per dirlo con certezza).
Ho salvato nella lista di cose da vedere Saltburn su consiglio di un’amica.
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
Continuiamo con i progetti in corso, mentre ne abbiamo già un paio nuovi in partenza verso fine mese, di quelli che regalano entusiasmo e voglia di fare bene.
📍Note a piè di pagina
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questi simboli: « ǝ», «з»
Cosa significano? Sono simboli fonetici [schwa (o scevà)] utilizzati per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Il simbolo fonetico /ə/ si usa per le desinenze al singolare. Lo schwa lungo /3/ invece per il plurale. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
📍Note a piè di pagina/ 2
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. Qui i dettagli.
È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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Grazie per avermi citato con Linguetta! E complimenti per la puntata: puntuali e significative le riflessioni sulle domande da farsi per entrare in relazione con le persone.