Ogni volta che mi fisso su un qualcosa da raggiungere oppure ottenere, mio marito dice che mi parte “l’ossessione”. Questo significa che non riesco a pensare ad altro, che ogni cosa che faccio, ogni singola azione, è funzionale a quell’ossessione (del momento, ça va sans dire).
È ciò che succede quando penso al concetto di strategia. Lo so, è il mio chiodo fisso (uno dei). C’è stato anche un momento in cui ho detto di voler trovare parole nuove per definirla, perché anche solo pronunciarla innesca paure e preoccupazioni nelle persone che ho di fronte: di solito iniziano a guardare altrove come a dire “no, non riguarda me”.
È da venerdì che, dopo una chiacchierata in profondità con una persona che stimo e ammiro, la mia mente ha iniziato a fare schemi e mappe, a disegnare archi in mezzo a tanti puntini sparsi.
Io sono Tatiana e questa è la newsletter di Kanji, quella che parte ogni lunedì mattina per arrivare alla tua casella di posta. Se te l’hanno inoltrata e vuoi iscriverti, puoi farlo da qui.

«Scegliamo le parole, il modo in cui le diciamo, in cui le accostiamo le une alle altre; e tra le mille risposte possibili, scegliamo la risposta che ci va maggiormente di dare. E poi, anche se ci illudessimo di non scegliere, scegliamo comunque.»
Annamaria Testa
Quando penso al concetto di strategia, penso allo scegliere e mi è subito venuta in mente questa frase di Annamaria Testa che ho tatuata in testa. Se vuoi trovarla, leggi Farsi capire, per me da sempre la bibbia della comunicazione efficace.
Scegliere è un verbo bellissimo. Implica il fatto che anche non scegliendo, scegliamo comunque (di non scegliere). Per me è il verbo più performativo che esista (ti consiglio un altro libro straordinario: Come fare cose con le parole di John Langshaw Austin).
Per me strategia è una visione verso cui tendere e un insieme integrato di scelte (e non scelte). Se da una parte serve partire dall’avere chiara la visione, dall’altra diventa dirimente scegliere cosa fare, e cosa non, per raggiungere uno scopo.
Dire è (anche un) fare: la visione
Nella mia esperienza, è sempre complesso definire quale sia la visione di una qualsiasi organizzazione. Ha a che fare con una domanda difficile “come vuoi cambiare il mondo?” “chi vuoi diventare?” “perché fai quello fai?”. È una dichiarazione di responsabilità che influenza ogni singola azione messa in atto da qui al futuro (come la si realizza e come la si rende concreta). Hai mai pensato alla visione della tua organizzazione? Dovresti saperla dire a memoria, perché è il motivo della sua esistenza, il cuore pulsante da dove tutto è iniziato. E dovrebbero conoscerla (e condividerla) anche le persone che dell’organizzazione fanno parte. Avere chiara la visione significa dotarsi di ogni strumento necessario per raggiungerla, di compiere scelte in sua funzione, di farsi e rifarsi domande sulla sua validità.
Comunque scegliere
Se la visione è la stella polare che guida verso il futuro, la strategia è anche il frutto di scelte integrate per darle concretezza. Ed è l’insieme di questi due elementi a fare tutta la differenza del mondo. Quando conosci la direzione è più semplice (non facile) sapere cosa è più giusto fare e perché. Sul come farlo è più complesso e serve andare in profondità. A volte serve anche aiuto per orchestrare tutto e generare una sinfonia.
Partire da (buone) domande è sempre la strada più giusta. Quando si è a un bivio nel progettare il futuro di un’organizzazione, sono le domande a innescare buone riflessioni e poi le azioni per creare quel futuro.
Si inizia a pianificare come arrivarci: l’analisi di quel che c’è, del contesto, delle persone coinvolte, degli obiettivi a breve, medio e lungo termine. Senza dimenticare di mettere sul piatto anche quell’insieme di attività che è necessario fare. Per poter scegliere serve avere contezza di tutti gli elementi in gioco.
Se da una parte abbiamo gli obiettivi e dall’altra i bisogni delle persone coinvolte, non possiamo mai dimenticare i vincoli. Sono fondamentali per compiere scelte sensate e poi le successive.
Se pensiamo troppo in grande (il problema da risolvere) rischiamo di correre sul posto e di non arrivare a nulla. Quando il problema è troppo grande (wicked problem), smontarlo in pezzi più piccoli aiuta a iniziare a risolverlo. Un passo alla volta.
«Se il problema è troppo grande, smontalo»: il ruolo del design è strategico
Negli ultimi anni, mi sono resa conto di quanto il design (come approccio e mindset) sia strategico per progettare il futuro di sistemi, organizzazioni, comunità, perché ha la capacità di far emergere obiettivi e bisogni, paure, comportamenti e trasformare quei dati in informazioni utili per disegnare e progettare sistemi, roadmap, processi. Innescare flussi, incarnare l’agilità e la spinta al cambiamento e alla trasformazione. Serve sperimentare, provare, iterare. E fare in modo che le persone coinvolte partecipino e co-creino insieme un futuro migliore dove essere, dove convivere, dove partecipare. Insieme.
Dal dire al fare, dal fare al dire. Non è questo un atto performativo?
Buona pratica, buon inizio settimana,
Tatiana (e Chiara)
📃Abbiamo parlato di
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Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Ho finito l'ultimo libro della trilogia della Terra Spezzata e la quarta e ultima stagione di Haikyu! To the top, su Prime, anime sportivo dedicato alla pallavolo maschile, uno dei miei sport preferiti.
Ieri penultimo incontro della campagna DnD a cui sto giocando, la mia prima da maga, sfidante è dir poco, ma molto molto divertente.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Letto poco, ascoltato molto. Le ultime due puntate di Sigmund sono pazzesche. Nel fine settimana ho fatto scouting nel solaio dei miei e sono tornata a casa con un giradischi e i dischi della mia infanzia e giovinezza.
Proseguo con vecchie letture per raccogliere appunti e dare e fare ordine. Sì, mi sto concentrando e mettendo in pratica molta architettura dell’informazione e strategic design.
Proseguo con i soliti ascolti: i podcast de Il Post, Morning, Amare Parole, Ci vuole una scienza, Indagini e il nuovissimo Sigmund che, ahimè, è finito.
Visioni. Proseguo con Criminal minds per il mio allenamento quasi quotidiano all’ascolto attivo e all’osservazione non giudicante. L’ultimo Diabolik non mi ha entusiasmato.
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
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Settimana di incontri, formazione, appuntamenti. Si prospetta bella intensa anche questa!
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Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questo simbolo: « ǝ». Cosa significa? È un simbolo fonetico [schwa (o scevà)] utilizzato per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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Annamaria Testa è un faro nel buio. Ti consiglio anche “La trama lucente”, ma avrai sicuramente letto.