Io sono Chiara e questa è la newsletter di Kanji, quella che parte ogni lunedì mattina per arrivare alla tua casella di posta. Se te l’hanno inoltrata e vuoi iscriverti, puoi farlo da qui.
Nei giorni scorsi ho iniziato un libro, ricevuto per il mio compleanno, che ha dato il via a una riflessione in tema di business che credo possa essere utile.
Il compleanno è stato a settembre scorso e ci ho messo quattro mesi per trovare il tempo per leggerlo. D’altronde ormai da qualche anno sono in modalità “l’importante è farcela”. Possiamo dirci che ‘il quando’ è sopravvalutato? Sì, possiamo.
Nella vita come nel business
Il libro in questione è “Design the life you love” di Ayse Birsel e poiché parla di progettare (design) più che un libro è un playbook, come lo definisce l’autrice, non solo un workbook, per enfatizzare il lato ludico che ha un esercizio così utopico come quello di disegnare a tavolino la vita che vorremmo.
Se bastasse disegnare la vita dei nostri sogni per vederla realizzata, questo libro sarebbe in dotazione obbligatoria in tutte le scuole di ogni ordine e grado ma [spoiler!] no, non basta disegnare qualcosa perché si avveri, non è così semplice. Nella vita come come sul lavoro.
D’altra parte, senza definire una direzione e un piano su come arrivarci, è molto più facile passare giorni, mesi, anni, a galleggiare come un tappo di sughero in mezzo al mare, in balia delle correnti. Non che la cosa in sé sia sbagliata: io per prima adoro stare ferma nel presente, in osservazione di ciò che mi passa accanto, dentro, attraverso. Il giusto equilibrio sta, io credo, in una buona alternanza tra le due parti: avere una direzione e fermarsi ogni tanto per godersi il viaggio e dare al karma il tempo di “allineare i pianeti”, per cogliere l’opportunità che ti serve al momento giusto, non prima, non dopo.
E così ogni inizio anno mi regalo del buon tempo di qualità per fare il punto su dove sono, dove voglio andare (è ancora lì dove avevo deciso?) e come voglio arrivarci. Così poi durante l’anno mi è più facile tenere la rotta, fare retrospettiva, correggere il tiro. Quest’anno l’ho fatto con il libro di Ayse Birsel, grazie @Tatiana per questo bellissimo regalo di compleanno. <3
Ma torniamo a noi. Per farmi lavorare sulla mia vita, l'autrice dà un metodo, una rivisitazione del design thinking che ho molto apprezzato, e che ha ispirato la newsletter di oggi, perché ho trovato molti parallelismi con quello che per me significa lavorare sulla strategia di un’impresa.
Smontare il problema
Birsel riassume il suo metodo in quattro fasi:
Deconstruction
Point of view
Reconstruction
Expression
La prima è la fase della decostruzione nella quale smontiamo l’oggetto di osservazione in tante più parti possibili per meglio comprenderlo: una macchina fotografica, nel suo esempio, ma in realtà un qualunque oggetto (un condizionatore, uno smartphone, lo sciacquone del wc) o una qualunque attività fenomenica (un evento meteo, un processo di lavoro, un’esperienza di viaggio) o, ancora più in generale, un qualunque problema.
Come diceva Cartesio già nel 1600 d.C. nel suo Discorso sul metodo
«cominciando dagli oggetti più semplici e più facili da conoscere,
salire a poco a poco, per gradi,
fino alla conoscenza dei più complessi»
René Descartes
Nel mio lavoro, quando devo fare l’assessment di un modello di business, o anche solo l’analisi di un bilancio contabile, seguo un percorso che è molto simile alla deconstruction, perché spezzetto un business nei suoi micro-elementi costituenti, nei mattoncini di cui si compone, per ottenere due cose. Da un lato riuscire a capire come quella specifica impresa crea il suo valore (sia sostanziale sia in termini economici-finanziari) e dall’altro poter guardare le cose da un punto di vista differente da quello iniziale, per poter vedere e cogliere vincoli e opportunità (sia quelli già gestiti sia quelli nuovi possibili).
Scendere nel dettaglio
Come dice Cartesio, acquisisci vera conoscenza solo scendendo nel dettaglio. Se ti limiti al primo sguardo ti fermerai all’interfaccia, restando a un livello superficiale, in senso letterale, oltre che figurato. Quando l’oggetto di osservazione è complesso lo sguardo superficiale è doppiamente fallace:
ti fa credere che sia un qualcosa di semplice, facilmente prevedibile, affidabile, con risposte sempre uguali.
ti fa credere di aver capito come funziona, quando saper accendere un’automobile non vuol dire affatto sapere come funziona.
Alla prima spia rossa che si accende sul cruscotto non solo entreremmo nel panico, ma non ci capaciteremmo di come possa essere successo; ci sembrerà che si sia verificato un evento così improbabile da essere eccezionale.
Al giorno d’oggi viviamo immersi in un mondo di oggetti e fenomeni complessi, e questo oltre a crearci delle insicurezze profonde con cui dobbiamo avere a che fare in tutti gli aspetti della nostra vita, fa sì che possiamo fidarci di noi stessi e di ciò che abbiamo imparato per via diretta, solo in quegli ambiti in cui siamo riusciti, per un motivo o per un altro, a scendere in profondità. Su tutto il resto dobbiamo imparare ad affidarci a chi ne sa più di noi.
Perché chi si occupa di riparazioni o chi gestisce la parte più tecnica e operativa di un servizio o un processo sembra affrontare un guasto qualsiasi senza troppe preoccupazioni?
Perché sono persone che conoscono quell’oggetto/meccanismo/fenomeno, sanno leggerne la sua intera complessità, possono fare ipotesi, previsioni, sostituzioni e modifiche, perché lo hanno smontato e rimesso insieme più di una volta, lo hanno osservato da punti di vista diversi, hanno visto quante cose diverse possono andare storte (e per quale motivo) e non hanno timore a rifarlo di nuovo. Anzi, forse a loro piace tanto quanto a me piace smontare, rimontare con il mio lavoro ;-)
Trovare nuove opportunità, che vertigine!
Se ci limitiamo alla fase decostruttiva, allo smontare il problema per capire il funzionamento delle diverse parti che lo compongono stiamo facendo ricerca pura. Se a questa attività aggiungiamo una finalità pratica, un voler cambiare il corso attuale delle cose, ecco che allora dovremo far seguire alla ricerca una fase di convergenza verso il trovare nuove opportunità, grazie anche a quella che Birsel definisce come fase 2, cambiare il punto di vista.
Non c’è design senza, tra le altre cose, una sana alternanza tra pensiero divergente e pensiero convergente (il cosiddetto design thinking) e, anche in questo caso, dopo aver aperto, smontato, ridotto in piccoli pezzi comprensibili, applicare punti di vista differenti abilita la percezione di tutta una serie di collegamenti e relazioni (alcuni esistenti, altri probabili e altri ancora impossibili) che rendono l'oggetto di osservazione comprensibile nell’interezza della sua complessità.
Come dice la stessa Birsel nel suo libro, quando si smonta un oggetto complesso poi è difficile rimontarlo esattamente come prima e, aggiungo io, anche in quel caso cambierebbe il modo in cui lo vediamo. Questo effetto è qualcosa che fa molta paura e spesso ci blocca dall’affrontare un problema, proprio perché sappiamo che per affrontarlo dobbiamo guardarlo, nominare l’orso nella stanza, e che dopo le cose potrebbero non tornare più come prima. Che vertigine!
La solita vecchia paura del cambiamento che ci accompagna da quando esistiamo, impossibile da eradicare.
Molto meglio, io credo, dare al percorso di decostruzione e ricostruzione successiva il tempo che serve: iniziamo a smontare e magari a rimontare in un modo molto, molto simile a prima, dandoci però anche la possibilità di immaginare quanto diverso ( e bellissimo) potrebbe diventare. Nella vita come nel business.
Buon lunedì, buon inizio settimana,
Chiara (e Tatiana)
📃Abbiamo parlato di
Affrontare la complessità è un tema complesso, a questo link trovi una serie di articoli sul tema che abbiamo scritto nel corso del tempo.
📍Cose che hanno lasciato un segno
Il dissenso, se gestito correttamente, può rivelarsi un tesoro di opportunità di crescita
Usi Toggl? Un post di Lara Lombardi arricchito dai commenti di altre persone utilizzatrici.
Spiegare in parole semplici concetti complessi è sempre una bella sfida. Giorgio Trono segnala due esempi virtuosi.
Linguaggio informale, pubblicità integrata e declino del design centrato sull'essere umano?
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Ho alternato Design the life you love con Il ministero della suprema felicità, romanzo di Arundhati Roy ambientato in India a cavallo dell’anno Duemila.
Ho ripreso la visione a singhiozzo di The Marvelous Mrs. Maisel, che mi piace tantissimo ma che posso vedere solo dalla TV di casa.
Continuo con la serie su Netflix Benvenuti a Samdal-Ri e con il podcast Evacuazioni.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Proseguo con Abel e Cose spiegate bene, colpo di teatro, in attesa dell’uscita di Cose spiegate bene. L'importante è partecipare (14 febbraio). Nel frattempo, mi sono rimessa a studiare e aggiornarmi: sto leggendo Il branding agile e la formula della fiducia di Flavia Rubino (scritto benissimo e molto chiaro) e Strategic design di Giulia Calabretta, Gerda Gemser, Ingo Karpen.
Podcast: sto ascoltando L’indomabile podcast del Post su Sanremo con Matteo Bordone, Giulia Balducci, Luca Misculin per prepararmi e restare aggiornata sulla settimana sanremese (tanto attesa e che mi farà fare le ore piccole).
Proseguo con Morning, Amare parole, in soldoni e in settimana mi ascolterò anche le nuove puntate di Indagini di Stefano Nazzi.
Cosa dire sulle visioni? È uscita il 1° febbraio la nuova stagione di Mare fuori e mi ci sono immersa. <3
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
Ieri Kanji ha compiuto 5 anni ma festeggeremo settimana prossima, nel frattempo andiamo avanti con i progetti avviati e con un paio di nuove proposte.
📍Note a piè di pagina
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questi simboli: « ǝ», «з»
Cosa significano? Sono simboli fonetici [schwa (o scevà)] utilizzati per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Il simbolo fonetico /ə/ si usa per le desinenze al singolare. Lo schwa lungo /3/ invece per il plurale. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
📍Note a piè di pagina/ 2
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. Qui i dettagli.
È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
Vuoi condividerla? Puoi usare il bottone qui sotto