Ci vuole coraggio (e un nuovo mindset) per liberare il futuro.
La forma organizzativa dentro cui ci muoviamo impatta sui processi (decisionali prima di tutto) e su tutto quanto ne consegue.
Il 25 Aprile è passato da poco e mi ritrovo a pensare a quanta libertà diamo per scontata, a quanta non ne abbiamo ancora e a cosa serva ancorarci al passato se poi non facciamo tesoro di quel che ha rappresentato quel 25 Aprile e cosa possiamo fare noi per mantenere e difendere quella libertà. Come dice Giulia Blasi, è tempo di liberare la Liberazione dalla retorica, riportando la lotta per la Liberazione nell’oggi, raccogliendo il testimone e facendo la nostra parte, adesso.
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Ci vuole coraggio
Quando parlo o scrivo di processi organizzativi, do per scontata una questione rilevante: la forma organizzativa dentro cui questi processi avvengono impatta sul come quei processi si svolgono e su tutto quanto ne consegue: in termini di motivazione, progettazione, gestione del lavoro, del processo decisionale e di definizione della strategia e delle azioni per implementarla. Agire sui processi implica una conseguenza sull’intero sistema. Ho visto, anche sulla mia pelle, quanto l’aprirsi al cambiamento, seppur in fasi e in modo graduale, possa portare beneficio all’intero sistema organizzativo, sia in termini di flussi, sia in termini di relazioni. Perché, allora, è ancora così difficile scardinare certe credenze rispetto a un’evoluzione delle forme organizzative? Perché la resistenza al cambiamento è così radicata?
Ne ha parlato Stefano Bussolon nel suo articolo Ux maturity e stile di leadership, dove affronta il tema della cultura aziendale e l’impatto del design, partendo da una riflessione di Marzia Aricò, nella sua newsletter Design mavericks (che consiglio).
La cultura organizzativa è frutto di una scelta di chi è a capo di quella organizzazione, grande o piccola che sia. Di chi, in sostanza, è nella stanza dei bottoni e detta le regole.
Bussolon nel suo articolo parla di diverse forme organizzative che vanno dall’organizzazione gerarchica, dove le decisioni sono sempre top-down, a forme più democratiche e partecipative, dove le decisioni e tutti o alcuni dei processi (decisionali) sono condivisi e approcciati in modo collaborativo, coinvolgendo più persone. Tra i due estremi esistono forme ibride.
Il contesto attuale, dove le nostre realtà si muovono e vivono, è cambiato e sta cambiando, tanto da mettere in discussione l’efficacia di processi decisionali top-down, più focalizzati sulla sola efficienza, come l’unica strada possibile per far andare avanti le cose.
«Contemporary organizations are still designed around an archaic industrial model, that was invented to respond to the needs of a very, very different world than what we are dealing with today.»1
Il ruolo del design nei processi decisionali
Nel lavoro con organizzazioni diverse, mi sono resa conto di quanto il design (non come disciplina in sé, ma come mindset) possa davvero fare la differenza nella cultura organizzativa dove è presente. L’ho visto succedere nella maggior parte dei casi, anche se accade nel lungo periodo.
Il design come mindset prevede collaborazione (radicale, come direbbe Maria Cristina Lavazza) e richiede di cambiare, di far evolvere il sistema, l’intero sistema. Cambiare un sistema “che ha sempre funzionato bene così” è duro da scardinare come pensiero e ne mina l’equilibrio. Soprattutto se ogni dipartimento (ufficio/team) ha sempre fatto da sé (i silos).
Il ruolo del design è quindi strategico per scardinare, far dialogare e collaborare i diversi silos, abbattendo i muri, non imponendosi come un altro silo, ma diventare ed essere lo strumento per sperimentare nuovi modi di funzionare, nuovi modi di progettare, nuovi modi di diventare qualcos’altro. E farlo insieme con e per le persone.
«Design reaches its full potential when it’s able to get people out of their myopic functional silo and see the world holistically, connecting the dots between apparently unrelated things, showing patterns, and envisioning alternative futures.» 2
Abbracciare il cambiamento, grazie a un cambio di prospettiva e di mindset, potrebbe aiutare le nostre organizzazioni a liberare il futuro e a generare quell’evoluzione di cui abbiamo bisogno per essere persone e organizzazioni migliori, dentro e fuori.
Buona Liberazione, ancora,
Tatiana (e Chiara)
📃Abbiamo parlato di
Gli stessi articoli di lunedì scorso perché una cultura organizzativa migliore passa anche per team efficaci e funzioni del tipo del DesignOps.
📍Cose che hanno lasciato un segno
Comprendere come funziona la propria organizzazione per generare impatto
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📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Complice una breve gita dagli amici chiantigiani, ho ascoltato un paio di puntate di Bouquet of Madness: due amiche che parlano di crimini irrisolti in toni molto colloquiali e che fanno ridere parecchio.
Nel frattempo cerco un grande romanzo, di quelli ben scritti e avvincenti, da cui farmi trascinare nella neonata abitudine di leggere la sera. Se ti va di consigliarmi qualcosa ne sarei felice, in caso contrario mi resta sempre il blog di Tegamini.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Un ponte lungo che mi ha vista immergermi in profondità su alcune questioni rilevanti. Nel frattempo:
Letture. Mi sono tuffata nel nuovo libro di Rocco Rossitto, Dire qualcosa non vuol dire aver qualcosa da dire, dove ho ritrovato un allineamento, un profondo riconoscimento di quel che significa comunicare e fare marketing. E dove quel dipende assume un significato forte.
Ascolti. Proseguo con i podcast de Il Post: Morning, Amare Parole, Ci vuole una scienza, la nuova puntata di Sigmund registrata in diretta da Voices. Daniela Collu ha condotto in modo magistrale anche questa puntata. Merita tantissimo! Si parla di Franco Basaglia.
Sul lavoro, sulla consapevolezza, su quanto la sostenibilità sia una parola chiave anche per le persone e le loro scelte professionali: ne ha parlato Valentina Di Michele con Chiara Marturano nell’episodio 49 di Coach for breakfast
Visioni. Proseguo con la seconda stagione de Il Re e Criminal minds (che è sempre un esercizio di ascolto e osservazione super). Ho iniziato e non ancora finito Oppenheimer.
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
Inizia oggi la settimana perfetta di Chiara: due giorni di lavoro, uno di riposo e altri due di lavoro, per produrre meno e meglio, qualunque cosa significhi “produrre” per te. Uguale per Tatiana: scende dalla ruota per dedicare più tempo al meglio.
📍Informazioni di servizio
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questo simbolo: « ǝ». Cosa significa? È un simbolo fonetico [schwa (o scevà)] utilizzato per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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[Traduzione mia: Le organizzazioni contemporanee sono ancora progettate attorno a un modello industriale arcaico, inventato per rispondere alle esigenze di un mondo molto, molto diverso da quello con cui ci confrontiamo oggi.]
[Traduzione mia: Il design raggiunge il suo pieno potenziale quando è in grado di far uscire le persone dal loro silos funzionale e di vedere il mondo in modo olistico, collegando i punti tra cose apparentemente non correlate, mostrando schemi e immaginando futuri alternativi.]