Ho infranto i miei stessi principi
Tornare alle abitudini tossiche è una via in discesa, facile da imboccare anche dopo lunghi allenamenti
In mezzo alla stanchezza e al carico eccessivo di questo periodo ha senso continuare a scrivere questa newsletter? Ce lo siamo chieste, Tatiana ed io, qualche settimana fa e la risposta è stata sì, purché non sia tanto per farlo (c’è fin troppo rumore di fondo) ma per condividere qualcosa che possa essere utile a chi legge.
È utile parlare di sbagli e omissioni? Mi sono risposta di sì.
Io sono Chiara e questa è la newsletter di Kanji, quella che parte ogni lunedì mattina per arrivare alla tua casella di posta. Se te l’hanno inoltrata e vuoi iscriverti, puoi farlo da qui.

Nelle ultime settimane non ho fatto tante delle cose in cui credo, le stesse che propino spesso alle persone intorno a me. Questa pubblica ammenda serve a:
ammettere i miei limiti, che è sempre un buon esercizio per aprire a nuove idee,
condividere i punti bassi della professione: celebrare solo successi è stucchevole, oltre che inverosimile
affermare le nostre umane debolezze.
Due righe sul contesto: incarico di revisione e ottimizzazione dei processi amministrativo-contabili tra l’ufficio contabilità e gli altri uffici del gruppo. All’avvio dei lavori emerge che la metodologia contabile adottata all’interno dell’ufficio contabilità è inefficace da tempo, ma a inizio anno si è del tutto inceppata, per via del lavoro extra collegato alla chiusura dei bilanci. Ma come posso lavorare su dei processi che sono congelati per via del blocco di uno degli uffici coinvolti? Che fare? O meglio, cosa non ho fatto che invece avrei dovuto fare?
Non ho salvato il mondo, ho solo fatto del mio meglio
Mi sono fatta carico di problemi che sono oltre le mie possibilità attuali, come se potessi risolvere tutto senza alcun limite. Nel caso specifico, mi sono fatta carico anche della revisione della metodologia di lavoro interna all’ufficio contabilità: tutt’altro che banale.
Sono abituata a prendermi sulle spalle i problemi lavorativi che emergono lungo il percorso verso un obiettivo, perché si dice che parte della professionalità sia garantire una performance ai massimi livelli, anche se fuori dal perimetro contrattuale definito.
Sbagliato. Sbagliatissimo.
Sono abituata a comportarmi così perché sono cresciuta in una cultura tossica dove per valere (soprattutto se donna) devi essere capace di salvare il mondo. Ma una richiesta così eccessiva mi porta solo stress e senso di inadeguatezza.
Posso solo fare del mio meglio in piena coscienza e responsabilità. Se è meno di quanto atteso dalla controparte, possiamo esplicitare meglio le aspettative reciproche, così da fare chiarezza tra risultati veramente raggiungibili e quelli che dobbiamo dichiarare solo perché “figo”.
Non ho rinegoziato il budget all’emergere di nuove problematiche
Tipico caso in cui “sei la persona giusta, nel posto giusto, al momento giusto” per gestire questo elefante nella stanza. Peccato che non si tratti del lavoro che avevamo concordato e anzi, sia un carico in più che si aggiunge a tutto il resto.
Nel lavoro devo affrontare spesso conversazioni difficili ma mantenere la relazione mentre tiro fuori gli elefanti nella stanza mi richiede molta energia, perciò le diluisco nel tempo, posticipo quelle meno urgenti e a volte le evito proprio.
Ma ho sbagliato, perché ho rimandato la conversazione che serviva a me, quella in cui chiedevo di rinegoziare il budget perché la nuova attività extra che si è aggiunta è corposa e complessa.
In un momento di low-battery, ho preferito dedicare le mie energie a mandare avanti il lavoro invece che fermarmi e chiedere un incontro di riallineamento tra contenuti dell’incarico, importo economico e tempi di realizzazione.
Mi viene da ridere a pensare alle decine di volte in cui ho sfoderato la mia aria da saggia e ho detto ad altre persone “dosa bene le tue forze, prima concorda il perimetro e poi agisci”!
Ho dato priorità al lavoro a scapito di tutto il resto.
In nome di un produttivismo in cui non credo, per portare avanti il lavoro ho sacrificato tutto il mio tempo libero e pure la mia salute.
Ho fatto tutto il possibile per preservare piccoli spazi di recupero ma non sono riuscita a ritagliarmene abbastanza per sentirmi serena, per riuscire a staccare, per ricaricare le pile senza esaurirmi (ciao buoni propositi di settembre).
Al contrario, ho continuato a forzare il mio corpo a fare un po’ di più, ancora un pasto preconfezionato ingurgitato alla velocità della luce, ancora un piccolo sacrificio di un paio d’ore di sonno in meno, ancora quella mail, quel report, quella scrittura contabile.
Mi vergogno ad ammettere che sono arrivata a prendere l’antibiotico dei 3 giorni lo scorso weekend, per riuscire a tornare in piedi prima dell’inizio della settimana successiva, un comportamento lontanissimo da quello che ho scelto per me più di dieci anni fa.
Vengo da una cultura tossica che dice che devo sacrificare tutto al lavoro, che è il mio impegno più importante e viene prima di qualunque altro.
Abbandonare vecchie abitudini è difficilissimo, richiede una continua conferma delle scelte fatte; conferma che basta manchi una volta per ripiombare nel solco profondo da cui avevo deciso di allontanarmi.
Dalla meditazione alla vita reale
Quando provo a meditare la prima cosa che succede è che tutti i pensieri possibili si affollano nella mia mente, dai più banali ai più profondi. Le persone esperte di meditazione dicono che è normale, l’importante è che appena mi rendo conto che si è intruso un pensiero, devo lasciarlo scorrere via e ricominciare da capo a cercare il vuoto della meditazione.
Allo stesso modo oggi accetto senza colpevolizzarmi che ho infranto i miei stessi principi, che mi sono distratta dal cammino corretto (quello che ho scelto per me) e rimetto il mio benessere e la mia salute personale prima dei risultati lavorativi.
Buon lunedì, buona continua ricerca di equilibrio,
Chiara (e Tatiana)
📃Abbiamo parlato di
A proposito di team e processi:
📍Cose che hanno lasciato un segno
Perché non riusciamo a non giudicare? l’ultima newsletter di Ciclostyle
I risultati non arrivano subito, un post Instagram di @factanza
Quando lavori con la GenZ, un post Instagram di @edorighini
Nessuno può dirti cosa è meglio per te, un post LinkedIn di Valentina Di Michele
5 minuti e poi ti chiamo, un post LinkedIn di Sara Cremaschi
Cosa non ti fa più paura?, un post LinkedIn di Roberta Zantedeschi
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
La scorsa settimana ho guardato un film della Marvel, Black Widow, dopo anni che non mi succedeva. E nonostante gli stereotipi, i cliché, le discriminazioni implicite mi è piaciuto molto, perché mi ricordano la mia adolescenza, quando divoravo fumetti dove c'era sempre qualcuno che faceva la cosa giusta, che si sacrificava per qualcosa di più ampio e astratto del tornaconto personale.
Continuo con Il cigno nero, il saggio di Nassim Nicholas Taleb, e Areale, il podcast di Ferdinando Cotugno dedicato a crisi climatica e transizione ecologica.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Letture. Mentre proseguo con i libri di lavoro e formazione (tra i tanti, Manuale di design thinking. Progettare la trasformazione digitale di team, prodotti, servizi ed ecosistemi di Michael Lewrick, Patrick Link, Larry Leifer), ho iniziato La camera azzurra di Georges Simenon che ho trovato sui suggerimenti di Goodreads. Scrittura pazzesca.
Ascolti. La seconda stagione di Sigmund, il podcast ideato e condotto da Daniela Collu per Il Post è stupendo: anche la seconda puntata non tradisce le aspettative. Si scava, si va in profondità. Insomma, se ancora non, ascoltalo.
E poi proseguo con i soliti ascolti: Orazio di Matteo Caccia, Morning con Nicola Ghittoni, Amare parole di Vera Gheno, Ci vuole una scienza con Beatrice Mautino ed Emanuele Menietti.
Visioni. Proseguo con The Blacklist (2^stagione), La porta rossa (RaiPlay) e White Lotus (Sky/NowTV).
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
📍Informazioni di servizio
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questo simbolo: « ǝ». Cosa significa? È un simbolo fonetico [schwa (o scevà)] utilizzato per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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Ci diamo regole migliori, prendiamo decisioni sagge, poi non sempre manteniamo le promesse che ci siamo fatte. Succede, succederà ancora, siamo esseri umani non macchine indistruttibili. Però la consapevolezza è un fattore incrementale, perdoniamoci e mettiamo da parte l'insegnamento per la prossima volta.
Un abbraccio <3
Grazie Alessandra, l'hai detto meglio di me e lo riscrivo per non dimenticare: la consapevolezza è un fattore incrementale.