Le zone grigie nei processi di lavoro
Ogni zona grigia è un'opportunità per ottimizzare la gestione d’impresa, onorando tutte le risorse impiegate nel migliore dei modi.
Mentre scrivo è domenica mattina, e sono ancora un po’ rintronata dai festeggiamenti rumorosi di ieri per la piccola di casa, sarà perché mi è sembrata più la festa di un diciottesimo che quella dei cinque anni?
Anche mentre allestivo festoni e vassoi di cibo, mi sono ritrovata a pensare agli spazi che ci sono sempre tra un’attività e quella successiva. Sono spazi che, se lavoro da sola, sono quasi invisibili ma, se sono coinvolte altre persone, diventano gli spazi dove risiedono il passaggio di informazioni e consegne insieme con la condivisione di aspettative e bisogni, contenuti per nulla banali e troppo spesso lasciati impliciti. Anche nel business.
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La settimana scorsa ho raccolto i risultati di un lavoro, che dura ormai da qualche mese, sullo stato di salute del modello gestionale di un’impresa. Tra le altre cose, è emersa la presenza di una serie di aree grigie nei flussi amministrativi tra i diversi uffici coinvolti.
Al di là del singolo caso, dove si parla di attività amministrative a cui collaborano più di trenta persone, anche nelle imprese più piccole mi capita spesso di trovare delle aree grigie a scavallo tra persone e team diversi.
Se da un lato è normale - non possiamo delineare a priori tutto l’accadibile perché non sapremmo nemmeno nominarlo (e sarebbe anti-economico tentare di farlo) - dall’altro credo sia importante avere la consapevolezza che proprio lì, in quegli spazi tra il lavoro di due persone (o tra quello di due team) possano annidarsi sacche di inefficienza più o meno ampie.
L’inefficienza di processo si annida dove la collaborazione tra le diverse persone, e tra diversi team, è lasciata alle relazioni personali che si instaurano (e al buonsenso), dove manca chiarezza su ruoli, responsabilità e deleghe.
Per ottimizzare il lavoro serve una gestione di impresa con regole esplicite e condivise, indicazioni chiare e relazioni di scambio che funzionino, indipendentemente dalla qualità delle relazioni personali tra le singole persone coinvolte. Perché magari il mio collega mi sta parecchio antipatico ma so perfettamente quando, come e perché devo passargli le consegne del lavoro che ho appena finito.
Zone grigie come funghi
Nel mappare le attività amministrative e gestionali dell’azienda di cui scrivo è emerso che ci sono parecchie zone grigie, spuntate nel corso del tempo come funghi, all’improvviso e difficili da vedere per la maggior parte delle persone coinvolte , ma molto lampanti per chi le guarda per la prima volta.
Le zone grigie di questa impresa si sono create intorno a una serie di compiti con una o più di queste caratteristiche:
attività svolte non sempre dalla stessa persona,
attività assegnate direttamente da un vertice aziendale a una singola persona di un team, senza coinvolgere nella decisione la persona responsabile del team,
attività assegnate a persone diverse a seconda del momento, anche se appartenenti a team differenti, e senza coinvolgere le persone direttamente interessate.
Più in generale, le aree grigie si creano in modo spontaneo nella vita di un'impresa. Quello che fa la differenza è prendersene carico e portare chiarezza. Una zona grigia crea confusione, e la confusione genera fatica, blocca, destabilizza: spetta a me? con chi posso parlarne? come procedo?
Qualche esempio per scendere nel concreto della quotidianità.
In occasione dell’istituzione di un nuovo obbligo normativo, l’attività collegata viene assegnata a una persona o a un team in modo sperimentale, perché è una novità per tutta l'impresa. Che si fa dopo? L’assegnazione è stata occasionale o sistematica? La prossima volta chi se ne occuperà? Chi è più affine in termini di tipologia di lavoro o chi l’ha già fatto una volta?
Magari la nuova attività è stata assegnata a una persona che l’ha chiesto esplicitamente in via privata, oppure a una persona propensa a studiare e provare cose nuove, oppure a una persona particolarmente vicina alla persona responsabile, dove il grado di fiducia e la possibilità di ottenere feedback onesti e trasparenti è più alta.
Questo tipo di scelte sono normali e non sarò certo io a demonizzarle perché siamo esseri imperfetti ed emotivi e prendiamo le nostre decisioni in modo confuso e spesso incoerente. E va bene così. Credo, però, che sia importante averne consapevolezza e condividere e chiarire il più possibile le scelte fatte con il resto dell’organizzazione: per averne spunti di miglioramento, quando possibile, e per ridurre al minimo le aree grigie.
Un altro esempio tipico è l’uscita di una persona dall’impresa. Per mille motivi la persona non viene sostituita subito e il 99% dei suoi compiti vengono correttamente riassegnati ad altre persone o altri team. Se però resta fuori anche solo un 1%, quell’attività non riassegnata, quando a un certo punto diventerà importante e urgente, dovrà essere gestita: magari non potremo chiederla alla persona più adatta a seguirla, ma all’unica che in quel momento è disponibile (perché meno carica di altre incombenze), con il risultato che probabilmente verrà eseguita peggio di quanto avremmo potuto fare. Nulla di grave, se pensiamo al singolo esempio puntuale, ma se invece questa cosa capitasse spesso? Quanto potrebbero migliorare le nostra performance mettendo a sistema queste informazioni?
Con la consapevolezza che ogni zona grigia è una fonte di opportunità di ottimizzazione, cercherò man mano di affrontarle, capirle e chiarirle, per aumentare efficacia o efficienza della mia impresa, e onorando tutte le risorse impiegate nel migliore dei modi. Dove c'è estemporaneità, c'è sempre poca economicità. Ci sono tutta una serie di attività e momenti aziendali in cui è giusto così, tutto il resto delle volte, invece, si può sistematizzare.
E quando la zona grigia è voluta?
Ci sono dei casi in cui chi dirige un’impresa lascia volutamente fumoso un qualche ambito di attività, perché ci sono motivi importanti alla base di questa scelta eccezionale.
A me, ad esempio, sono capitati dei casi in cui le persone responsabili hanno creato volutamente delle zone grigie intorno a brutte situazioni disciplinari: hanno utilizzato affiancamenti temporanei, modifiche al mansionario, revisioni estemporanee del lavoro, per arginare gli effetti dannosi di una situazione temporanea. E l’ho visto fare anche in situazioni più che legittime, dove l’impresa doveva tutelarsi dal comportamento dannoso di una specifica persona, durante il lungo percorso fino al licenziamento per giusta causa.
Il problema è che, se chi dirige crea volutamente anche solo una zona grigia, sta implicitamente autorizzando tutto il resto dell’organizzazione a creare le sue piccole zone grigie, con un impatto nel tempo quasi impossibile da misurare ma certamente dannoso, a livello gestionale prima, ed economico poi.
Anche qui, come sopra, lungi da me giudicare da fuori le tante situazioni specifiche che si possono creare. Quello che voglio dire è che, in questi casi, la consapevolezza deve essere ancora più alta, perché c’è in gioco molto più del singolo evento eccezionale, c’è la validità percepita dell’intero modello organizzativo.
Quanto rende l’ottimizzazione dei processi?
La scusa che sento più spesso è che l’impatto economico è minimo e quindi “la spesa non vale la resa”.
Può sembrare minimo rispetto ad altri tipi di attività, tipo ridurre la forza lavorativa impiegata o tagliare attività a bassa marginalità, ma a volte è l’unico strumento che possiamo mettere in campo.
Inoltre, per poter dire che l’impatto è minimo bisogna misurarlo (difficile, ma non impossibile), troppo facile nascondersi dietro il fatto che codificare e chiarire le zone grigie è un’attività molto impegnativa.
Andare alla ricerca delle zone grigie, piccole o grandi che siano, è un ottimo modo per migliorare le performance di un’impresa, senza contare il fatto che, fare chiarezza sui processi di lavoro è una forma di rispetto e riconoscimento dell'importanza delle persone che ci lavorano: uno degli elementi che serve per lavorare con serenità e appagamento è aver chiaro in cosa consiste il proprio lavoro, e dove invece finisce.
Per ottimizzare i processi di lavoro il modo migliore è il ricorso a servizi specializzati di terze parti, persone che sono allenate a fare questo tipo di analisi e a evidenziare i passaggi impliciti mancanti.
A volte però, questo tipo di soluzione è troppo costosa rispetto alle capacità aziendali. In questi casi il mio consiglio è di farlo in modo autonomo al proprio interno: con un minimo investimento si possono ottenere buoni risultati.
Per farlo prova innanzitutto a descrivere, nero su bianco, come è organizzato il lavoro all’interno della tua impresa, quali sono i flussi e i vari step che li compongono, e chi partecipa a ognuno di essi. E poi chiedi di fare lo stesso alle persone che lavorano con te. Sono certa che ne usciranno informazioni sorprendenti e molto utili su tante micro-aree grigie da chiarire, per migliorare il lavoro di ogni persona coinvolta.
Con una accortezza: rischiarare senza abbagliare1, con rispetto verso le persone coinvolte e mettendole tutte sullo stesso livello. Non come un faro che illumina i dintorni di un carcere, ma come un allegro fuoco da campo attorno al quale sedersi in cerchio, condividendo ognunǝ il suo punto di vista.
Buon lunedì, buon lavoro,
Chiara (e Tatiana)
📃Abbiamo parlato di
Ottimizzare i processi di lavoro è uno dei tre grandi cavalli di battaglia delle grandi società di consulenza. Non basta per diventare i leader del settore, ma serve a mantenere il fragile equilibrio economico di impresa a cui possiamo ambire nel contesto attuale.
📍Cose che hanno lasciato un segno
Un ottimo modo per minimizzare le zone grigie è “pensarsi sistema”, da un post di LinkedIn di Sara Cremaschi
I 7 vizi capitali dell'eloquio secondo Julian Treasure, da un posti di LinkedIn di Roberta Zantedeschi
Come il design modifica l’universo intorno a noi, un paper di Tiziano Manna (in inglese)
Un tool free per creare illustrazioni, segnalato da Alessio Cardelli
Nelle CTA (call to action) a volte i sostantivi convertono più dei verbi. Lo dimostra Valentina Di Michele in un suo post di LinkedIn
Come se la passa il legal design in Italia? Non benissimo, scrive Giorgio Trono
La UX Research non è uno step del design. È parte integrante del processo di UX design (altrimenti non dire che fai UX).
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Ho iniziato Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza di Maura Gancitano, Tlon editore, e mi sta arricchendo moltissimo. Si tratta di un saggio denso ma molto ben scritto sul concetto di bellezza, che mi aiuta a uscire dallo stereotipo soffocante dettato dall’epoca consumista, a favore di una visione molto più ampia e liberatoria: ne avevo tanto bisogno.
Lato TV continuo con Love next door, su Netflix, ma ho rallentato perché mi sta annoiando.
Lato podcast continuo con Sigmund di Daniela Collu per Il post, che continua a piacermi motlo e fa riemergere la voglia che avevo qualche tempo fa, di reiscrivermi all’università per studiare psicologia.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Letture. Proseguo entusiasta con Intermezzo di Sally Rooney. Ho finito e apprezzato Confessioni di un marketer di Enrico Marchetto. Ho messo momentaneamente in pausa Mostri. Distinguere o non distinguere le vite dalle opere: il tormento dei fan di Claire Dederer, ma solo perché voglio godermelo sul divano (è uno dei pochi libri cartacei che lascio sul coffee table in salotto)
Ascolti. Oltre ai soliti ascolti dei podcast de Il Post, continuo ad amare Orazio, Una notizia al giorno e le storie che le stanno attorno, ogni pomeriggio per tutto l’inverno di Matteo Caccia. Nell’ultima puntata di Amare parole, Vera Gheno analizza il discorso di insediamento del nuovo presidente degli USA. Che amarezza.
Visioni. Proseguo con Non uccidere (Netflix) e il giovedì Masterchef Italia. Ho in lista una nuova serie TV, Bad sisters (AppleTV) che mi hanno consigliato. Aspetto Sanremo con trepidazione.
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
Settimana di nuovi incontri per possibili nuovi lavori. Ci piace conoscere nuove realtà, ci piace ancor di più se poi si trasformano in progetti di valore. Se son rose fioriranno ;)
📍Informazioni di servizio
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questo simbolo: « ǝ». Cosa significa? È un simbolo fonetico [schwa (o scevà)] utilizzato per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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Questo splendido concetto me l’ha ispirato Sara Cremaschi in un suo post di LinkedIn.