Quanto vale il lavoro di una persona?
Le imprese sono fatte di persone con un proprio valore professionale. Come possiamo creare ambienti di lavoro in cui valore percepito, valore riconosciuto e valore creato per l’impresa coincidano?
I malanni di stagione mi hanno regalato più tempo per leggere e ascoltare. Ho recuperato Ti faremo sapere, il podcast di Domitilla Ferrari sulle condizioni e le dinamiche del mondo del lavoro. Un paio di puntate mi hanno regalato una serie di riflessioni, qui ne ho raccolte alcune dedicate a chi guida un’impresa.
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Partiamo da diversi assunti che, bene o male, esistono in tutti i contesti lavorativi perché, come dice Domitilla Ferrari, “gli uffici sono tutti uguali”.
Nel sesto episodio del podcast Domitilla intervista Annalisa Monfreda, co-fondatrice di Rame, la community che rompe i tabù parlando di soldi, e le chiede:
Nel lavoro, cosa intendiamo per valore?
La risposta di Monfreda distingue tra due diversi aspetti del valore sul lavoro: la retribuzione e il job title.
La retribuzione riconosciuta
Viviamo in un sistema economico in cui di fatto è il prezzo a determinare il valore di un oggetto e non il valore dell’oggetto a determinarne il prezzo. Questo meccanismo si riflette anche nel mondo del lavoro, sulle persone, sulle competenze e sulle capacità che le persone portano in azienda.
In realtà però questa cosa è vera solo a metà. La percezione del valore è strettamente associata alla retribuzione percepita, che viene determinata da un insieme di logiche molto diverse tra loro e, spesso, contrastanti:
il contratto di lavoro applicato e la possibilità di contratti atipici o altre forme di lavoro temporaneo (es: freelance)
l’inquadramento delle persone che già lavorano in azienda e il loro sviluppo retributivo nel tempo
le possibilità e le modalità di compenso delle persone titolari di impresa o incaricate dell'amministrazione,
la possibilità e l’abitudine all’utilizzo di sistemi di incentivi economici.
A queste variabili si aggiungono anche tutte le condizioni di contesto e di specifico modello di business, diverse per ogni impresa: a partire dal fatto che ci sono insiemi di persone più omogenee (penso ad esempio a un’agenzia di erogazione di servizi digitali dove la maggior parte delle persone sono knowledge worker di vario genere); e altri invece che riuniscono sotto lo stesso cappello persone con ruoli e mansioni molto diverse tra loro (penso ad esempio a una realtà produttiva che va da persone incaricate dell’utilizzo di un macchinario, a chi si occupa di product design, a chi si occupa del sistema informatico, ecc.).
Ma se il prezzo del lavoro segue logiche rigide, o irrigidite dalle abitudini, e il valore percepito lo riflette in modo proporzionale, come possiamo riconoscere alle persone il loro vero valore per l’impresa, in modo tale che valore generato per l’impresa e valore percepito dalla persona possano essere il più vicino possibile?
Monfreda chiude il suo intervento dicendo che “è sbagliato dissociare retribuzione e valore, però è sbagliato anche associare i due aspetti. E la trasparenza salariale è l’unico modo per disinnescare il meccanismo per il quale chi è più capace di contrattare ottiene una retribuzione, e quindi un valore, superiore.”
Il job title
Ferrari: “Quanto del nostro ruolo nel mondo viene definito dal ruolo professionale?”
Monfreda “Tantissimo, e lo si vede dai job title che proliferano su LinkedIN. Il job title in molti casi (ad esempio in tutti i lavori non manuali) diventa il modo per capire a che livello della gerarchia ci poniamo, ed è per questo che diventa determinante. Però non siamo solo ciò che dice di noi il nostro titolo: il nostro valore è anche quello che ci pagano. Parlare di soldi è spesso legato a sentimenti di vergogna o imbarazzo; quanto guadagniamo non dovrebbe essere mai un parametro di autostima”.
Spesso in azienda si ricorre al job title per tentare di compensare almeno in parte eventuali differenze di responsabilità e/o di retribuzione perché, come dice Ferrari “le persone che lavorano con noi quando lavorano sono quel ruolo, sono il lavoro che fanno e il loro valore è tanto più alto quanto suona più alta la sua descrizione”.
Il problema è che anche i job title hanno dei vincoli: possiamo avere un’impresa composta solo da manager o chief di qualcosa? Chi esegue un lavoro ne è anche la persona responsabile? Abbiamo bisogno di stabilire delle differenze tra chi fa parte di un team di lavoro e la persona che è responsabile, o coordina, il lavoro di quel team?
Il modello gerarchico è il modello a cui siamo più abituati e quindi è il pensiero che applichiamo in prima battuta. Concetti come leadership diffusa e altre forme organizzative differenti sono lontane da quella che è la cultura di impresa che pervade il nostro quotidiano.
In questo modello, poiché ogni ruolo richiede delle competenze, tendiamo ad attribuire un livello gerarchico superiore a chi accumula più competenze con il passare del tempo. Anche se poi, questo metodo, strettamente collegato all’anzianità di servizio, ci irrigidisce in uno schema dove non riusciamo a dare il giusto riconoscimento alle persone che lavorano con noi, soprattutto a:
le persone più giovani che, per forza di cose, non hanno gli stessi livelli di esperienza,
le persone con competenze o che provengono da un ramo di studi diverso da quello della maggior parte delle altre persone,
le persone considerate fuori dagli schemi tradizionali di quell’impresa, anche se spesso sono quelle determinanti per riuscire, ad esempio, a innovare un business.
Come uscirne?
Credo che il primo passo, come in tutto ciò che riguarda la strategia di impresa, sia un esercizio di consapevolezza: della situazione attuale, dei nostri punti di forza e debolezza e della direzione verso cui vogliamo muoverci.
Più in concreto, rispetto a questo tema, un buon esercizio può essere una mappa che dia evidenza delle persone che lavorano con noi e di tutto ciò che a questa presenza si ricollega.
Chi sono le persone che collaborano e concorrono alla riuscita del tuo progetto di impresa? Non importa se siano interne o esterne, assidue o occasionali, un elenco di tutte le persone permette di avere un’idea chiara della numerosità e grado di diversità delle stesse.
Qual è il loro job title e qual è il ruolo concreto che svolgono nella tua impresa?
Qual è il loro inquadramento contrattuale e il valore economico che riconosci loro?
Quali e quanti sono i livelli retributivi che, per differenza di trattamento tra le diverse persone, si sono creati nella tua impresa?
Come vengono percepite le differenze di titolo e di retribuzione dalle persone che lavorano e collaborano con te?
Quanto sono omogenee le responsabilità riconosciute alle diverse persone che lavorano con te? E come vengono percepite eventuali disomogeneità?
Come sono distribuiti i carichi di lavoro tra le diverse persone che lavorano con te? E come vengono percepite eventuali disomogeneità?
Quanto il sistema retributivo interno è trasparente per tutte le diverse persone che a vario titolo collaborano alla buona riuscita del tuo progetto imprenditoriale?
Buona ricerca di risposte, buon lunedì,
Chiara (e Tatiana)
📃Abbiamo parlato di
A tema persone abbiamo parlato di efficacia dei team e di DesignOps per lavorare bene.
📍Cose che hanno lasciato un segno
Se non ti pagano non è lavoro, un post su LinkedIn di Lara Lombardi a proposito dell’associazionismo.
Diversity e capacità decisionale, Luca Sartoni su LinkedIn.
Stress e decision-making, Federico Tormen su LinkedIn.
Stasera a Torino apertura straordinaria con tanto di concerto e spettacolo circense, per festeggiare i 300 anni del Museo di Antichità, primato non da poco.
Un paio di comodi strumenti per fare fact-checking su immagini e audio.
Il Post cerca Correttore/Correttrice di bozze. Magari non ti interessa il lavoro, ma leggi l’annuncio e archivia in “annunci di lavoro scritti bene e coerenti con la voce del brand”
Dal lancio all’analisi e la misurazione: un anno di newsletter ben documentata.
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Ho finito Il ministero della suprema felicità di Arundhati Roy dopo mesi di lettura interrotta e poi ripresa. Di solito divoro i libri che mi piacciono ma nonostante ciò mi è piaciuto molto anche questo libro, per molti versi mi ha ricordato Cent’anni di solitudine, di Gabriel Garcia Marquez, ma ambientato in un mondo, quello indiano, decisamente più lontano dalle mie frequentazioni abituali. La storia si dipana in un periodo temporale più breve ma riesce, con la stessa aura di magia e romanticismo, a raccontare e attraversare gli orrori degli ultimi 50 anni della storia indiana.
Lato podcast ho messo in lista di ascolto Areale, il podcast di Ferdinando Cotugno che parla di crisi climatica e transizione ecologica, consigliato nell’ultima newsletter di Alessandra Farabegoli.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Questo weekend è stato un trambusto! Sabato e domenica alle prese con uno spettacolo teatrale che mi ha vista protagonista con altre venti persone sul tema delle fiabe nella splendida cornice del castello di Castellengo. Il castello merita una visita (e pure una degustazione di vini).
Letture. Niente di nuovo da suggerire. Vale tutto quel che ho scritto la scorsa settimana.
Ascolti. Proseguo con i podcast de Il Post: Morning, Amare Parole, Ci vuole una scienza, Indagini e il nuovissimo Sigmund che, ahimè, ha solo altre due puntate. Sempre tra i podcast de Il Post, segnalo anche Per fare il Post. Proprio stamattina, ho iniziato la nuova puntata de L’invasione, Dopo l’invasione, prima della fine del mondo.
Visioni. Proseguo con Il clandestino, una nuova serie TV disponibile su RaiPlay, con la seconda stagione de Il Re e Criminal minds (che è sempre un esercizio di ascolto e osservazione super).
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
Settimana corta per entrambe, il 26 aprile “facciamo ponte”, per quanto si possa parlare di ponte quando lavori in proprio. Chiara ne approfitterà per seguire un corso di formazione, Tatiana per lavorare più comodamente da casa.
📍Informazioni di servizio
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questo simbolo: « ǝ». Cosa significa? È un simbolo fonetico [schwa (o scevà)] utilizzato per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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