Rimettere al centro tutte le persone
Da un concerto poco accessibile all’accessibilty armageddon si parla di accessibilità ovunque. Si parla troppo e si agisce ancora poco. Cosa possiamo fare?
Buon lunedì, buona fine di giugno.
Non sembra vero: un altro mese si chiude, tra meno di ventiquattr’ore sarà luglio, il mio mese preferito. Non per il caldo infernale dell’estate, ma perché è il mese del mio compleanno. Fin da quando ero bambina e poi adolescente ho sempre visto luglio come il mese più entusiasmante: vacanze, compleanno, estate, gite, amicizie, tempo dilatato, gioco.
Poi sono diventata grande e luglio è rimasto il mio mese preferito, senza però il divertimento della giovinezza. E poi fa troppo caldo. 😀
L’ultima settimana di giugno la descriverei come una giostra, un passaggio da una cosa all’altra, nel progettare e riprogettare, nel mettere e rimettere in discussione decisioni, nel farsi buone domande, soprattutto quelle generative.
Tra le cose belle, un corso in cui ho parlato di architettura dell’informazione di fronte a una decina di studenti di un master. È stato bellissimo e sfidante insieme. Come riuscire a trasmettere i principi della IA (Information Architecture, così non la si confonde con AI Artificial Intelligence) perché passi il messaggio che non è solo una disciplina? Credo di esserci riuscita (lo spero!).
Di architettura dell’informazione non se ne parla abbastanza. E io stessa cado spesso nella mera disciplina, invece di pensarla come a qualcosa che ha a che fare con la vita di ogni giorno delle persone, di tutte le persone.
Ma partiamo dall’inizio.
Io sono Tatiana e questa è la newsletter di Kanji, quella che parte ogni lunedì mattina per arrivare alla tua casella di posta. Se te l’hanno inoltrata e vuoi iscriverti, puoi farlo da qui.
Per i mesi di luglio e agosto, questa newsletter cambia un po’ forma. Più leggera, più breve, più estiva.

Nell’ultima puntata di Amare Parole, Ep. 112 – Di concerti e di disabilità, Vera Gheno parla della sua esperienza al concerto dei Nine Inch Nails, anche grazie alla testimonianza di Sofia Righetti Nottegar, attivista femminista intersezionale, formatrice e divulgatrice.
No, il concerto non è stata una bella esperienza: la zona per persone con disabilità era relegata a un palchetto dedicato (e relegato) con una serie di limiti che non sto qui a descrivere. Li puoi immaginare o forse no.
Righetti Nottegar ne ha parlato in un reel, proprio durante il concerto. Il fatto è che come persone senza disabilità non possiamo sapere tutto quello che subisce una persona che disabilità ne ha.
Si parla di inclusione, accessibilità di spazi fisici e digitali per poi cadere in quel vortice di perbenismo tipico di chi ha privilegi.
Non basta mettere una rampa, rendere un sito accessibile, aggiungere un parcheggio riservato per essere una società inclusiva. Perché quel che si sta facendo è comunque escludere. Il nostro mondo è fatto per persone senza disabilità con qualche accorgimento per chi invece ha disabilità permanenti o temporanee.
Il 28 giugno 2025: l’Accessibility Armageddon*
Dal 28 giugno è entrato in vigore lo European Accessibility Act (EAA). È la legge dell’Unione Europea che obbliga a rendere accessibili a tutte le persone prodotti e servizi digitali. Da siti web a e-commerce, da app a dispositivi digitali l’obiettivo è promuovere pari opportunità per le persone con disabilità.
Questo basterà a rendere il mondo un posto migliore per tutte le persone? Sicuramente no, ma è un primo passo.
*Accessibility Armageddon è come lo definisce Margherita Pelonara in un post di LinkedIn che ho letto grazie ad Alice Orrù e alla sua preziosa Ojalà e che sottolinea come
«L'accessibilità non è un problema da risolvere, un'onere aggiuntivo, un'altra tassa da pagare. Il vero problema semmai, è la mancanza dell'attitudine a "pensare accessibile", svincolandoci dalla nostra visione della realtà "normata e abilista", indipendentemente da chi siamo (se i titolari del sito di un'attività, un designer o uno sviluppatore).» (Fonte)
È davvero facile cadere nel tranello che per rendere accessibile uno spazio basti aggiungere qualche accorgimento (su un prodotto digitale, per esempio, aumentare il contrasto colore, aumentare la grandezza del font o aggiungere un overlay). Spoiler: no, non basta per “risolvere” il problema dell’accessibilità.
Progettare con
Come designer e come architetta dell’informazione so che per progettare a misura di persone, devo progettare con le persone. Non posso (e non voglio) ergermi a chi sa cosa fare e come, e progettare un qualsiasi spazio senza coinvolgere chi quello spazio dovrà esperirlo. Non sarò mai capace di capire quali sono i bisogni, i problemi, i desideri delle persone solo perché li immagino. Devo chiedere, devo ascoltare, devo stare in silenzio.
Su LinkedIn ho visto un post su ATM Milano che ha cambiato i display dei vagoni della metro sulle linee M2 e M3, per ora. Sulla M1 non ancora, ma ci stanno lavorando.
Vorrei vederli di persona per capire come funzionano, provarli senza occhiali da vista, ecc. Mi sembra comunque un buon passo in avanti.
Fino a che non smetteremo di credere di sapere cosa serva per rendere uno spazio più accessibile, non renderemo il mondo più accessibile. Fino a che non comprenderemo che per renderlo tale serva coinvolgere e chiedere a chi ha disabilità di farci capire cosa vive, cosa prova e cosa sperimenta ogni giorno non faremo passi in avanti. Chi non ha disabilità è una persona privilegiata.
Ma possiamo fare qualcosa. Accorgerci, renderci conto, chiedere, indagare, osservare. E, giorno dopo giorno, migliorare.
Come avevo scritto tempo fa, Architettare l’informazione serve non solo a dare e creare senso alle cose del mondo, ma soprattutto a mettere al centro le persone, tutte le persone, per fare in modo che quelle cose siano trovate, godute ed esperite da chi le cerca e da chi per caso ci si imbatte.
Mentre sistemavo il blog di Architecta (la mia associazione) e mentre preparavo le dispense per il corso, ho riflettuto sul duplice significato di Architettura dell’informazione. In un articolo ancora molto valido, letto che ci sono due risposte alla domanda “che cos’è l’architettura dell’informazione?”. Oltre alla disciplina specifica per classificare, organizzare, progettare la struttura dei contenuti in uno spazio per renderla comprensibile, possiamo considerarla come qualcosa che ci riguarda in quanto persone:
«L’architettura delle informazioni è una responsabilità di tutte e tutti.
Possiamo fare di più, quindi. Come designer abbiamo un compito fondamentale: non dobbiamo limitarci ad aggiustare un qualsiasi spazio (fisico o digitale che sia) perché sia più accessibile, meno discriminatorio, meno limitante, ma progettarlo dall’inizio perché sia rispettoso di tutte le persone.
Prima di fare, serve progettare.
Prima di progettare, serve ascoltare.
In silenzio.
Con responsabilità.
Solo così potremo dire di aver contribuito a rendere il mondo un posto migliore. Un passo per volta.
Buon inizio settimana,
Tatiana (e Chiara)
📃Abbiamo parlato di
Come possiamo pensare, progettare, inventare meglio?
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Ho guardato Maschi veri, una serie TV su Netflix sul maschilismo tossico, mi è piaciuta e ho riso parecchio e mi ha lasciato con un pensiero decisamente ottimistico: le donne stanno evolvendo, che gli uomini lo vogliano o meno, e solo gli uomini che sono disposti ad accettarlo avranno qualche chance di riprodursi nel futuro. Siamo a posto, la natura ci salverà da noi stessз.
Ho letto alcune newsletter, tra le quali ho apprezzato particolarmente Hai paura di farcela? di Margot Deliperi, La coerenzza come trappola chic di Conigli e fragole e Selvaggia Lucarelli: il segreto di una newsletter da 1 milione di euro di Andrea Girolami.
Nelle trasferte di lavoro ho ascoltato le prime puntate di Monsoni, podcast di Lucy sui mondi, e mi ha lasciato delle belle suggestione, sia la puntata sull’intelligenza artificiale, sia quella sul mondo del lavoro in Giappone.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Letture. Sempre immersa in letture di lavoro e qualche altra lettura, come Il mago delle parole di Giuseppe Antonelli.
Ascolti. Proseguo con i soliti ascolti: Amare parole, Orazio, Morning con Nicola Ghittoni. Nuove ossessioni: Wilson, il nuovo podcast di Francesco Costa che esce ogni giovedì, ma che ogni tanto regala puntate extra super interessanti. Tra l’altro, è ancora libero e non riservato a chi si abbona a Il Post. Ho ascoltato l’intervista a Cristina Fogazzi su One more time di Luca Casadei (puoi ascoltarlo subito e, da martedì, anche vederlo).
Visioni. Ho visto la nuova stagione di The bear (e sto aspettando la prossima). La nuova stagione di Pesci piccoli è deliziosa. Ho visto e finito Inspira, espira, uccidi (Netflix) e mi è piaciuta davvero tantissimo. Ieri ho inziiato the recruit, vediamo come va.
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
La notizia importante: per luglio e agosto questa newsletter non andrà in vacanza, ma sarà in versione ridotta. Un riassunto delle cose di cui abbiamo già parlato ma che magari non hai letto, qualche link interessante. Abbiamo bisogno di leggerezza.
Nel frattempo, questa e la prossima settimana la nostra to-do-list è fatta di interviste, ricerca, analisi, scrittura e programmazione. Ma con l’aria condizionata.
📍Informazioni di servizio
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questo simbolo: « ǝ». Cosa significa? È un simbolo fonetico [schwa (o scevà)] utilizzato per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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