Una storia, nella storia
Qualsiasi cosa mettiamo in scena, in teatro e nella vita, facciamo succedere qualcosa. E se quel qualcosa è valore, allora vale la pena dargli spazio.
Buon lunedì 14 aprile,
sono reduce da un altro spettacolo teatrale dopo l’esperienza in un museo di qualche settimana fa.
Ebbene, anche quest’ultimo fine settimana sono stata impegnata con la mia compagnia per uno spettacolo (bellissimo) all’interno di un castello labirintico e fiabesco, tra fiabe rivisitate, stravolte, rimescolate e non poco irriverenti, ma comunque divertenti e con tanti apprezzamenti (la rima è voluta).
Sono di parte, lo so, ma è davvero stato super. Ma perché scrivo di nuovo di teatro? Cosa c’entra con comunicazione, marketing, processi e design?
C’entra, c’entra.
Il teatro, e qualsiasi palcoscenico, è sorprendentemente generativo, sempre.
Ogni volta, che sia parte attiva su un palco o seduta in platea a guardare, i miei pensieri viaggiano tra archi e nodi, sistemi e processi (che funzionano) e che generano pensieri, a volte complessi, che ho voglia di condividere per riflettere insieme.
Ma partiamo dall’inizio.
Io sono Tatiana e questa è la newsletter di Kanji, quella che parte ogni lunedì mattina (e a volte il martedì) per arrivare alla tua casella di posta. Se te l’hanno inoltrata e vuoi iscriverti, puoi farlo da qui.

Come scrivevo qualche settimana fa, progettare uno spettacolo e creare senso per chi lo esperirà è un lavoro complesso che ha a che fare con l’orchestrazione di luoghi, storie, personaggi, persone, interpreti.
La parola chiave è orchestrare, ossia l’organizzare un'azione, o un sistema di azioni, secondo un progetto organico, che coordina i diversi elementi e li fa suonare all’unisono per creare senso.
In questo spettacolo, durante la memoria (imparare la parte), le prove in solitaria e quelle in gruppo, mi sono resa conto di quanto ogni elemento sia correlato all’altro in un sistema fitto, che genera nodi, interdipendenze, e quindi senso, per far funzionare le cose.
Esattamente come capita in un’organizzazione, semplice o complessa che sia: ogni persona, ogni team e i vari dipartimenti sono parte di una rete ed è l’insieme delle parti e la loro relazione a generare valore per l’intero flusso. È sistemico: chiunque faccia qualcosa, quel qualcosa influisce sul qualcosa di qualsiasi altro nodo, persona, team, dipartimento.
Un’altra storia, nella storia
Nello spettacolo, io ero una delle sette guide che accompagnava il gruppo da una scena a un’altra. Il nostro compito, oltre a quello funzionale di accompagnamento, era narrare un’altra storia, quella del pifferaio magico: una nuova fiaba che, a differenza delle altre che iniziavano e finivano, veniva raccontata a puntate. Ogni guida, dalla prima alla settima, narrava un pezzo e solo alla fine dello spettacolo si poteva ascoltarne la fine e carpirne l’insieme.
Come riuscire a trasmettere il senso intero de Il pifferaio magico senza far perdere il filo? E come riuscire a orchestrare ogni singola parte per fare in modo che il percepito fosse un’unica storia e non sette monologhi?
A mio parere, è stato forse la parte più complessa da progettare e organizzare. Sette persone (guide) molto diverse dovevano trasmettere non sé stesse, ma la storia. E, a detta del regista, con il senno di poi, avremmo dovuto dedicare più tempo a Il pifferaio magico, per complessità di costruzione e di testo.
Se proviamo a traslare questo esempio in un sistema organizzativo, quel che emerge è molto simile a questa esperienza.
Conoscenza, esperienza, condivisione, comunicazione
Conoscenza. Nella fase di preparazione, ogni guida ha letto l’intero copione per poter progettare la propria parte.
Nelle organizzazioni, ogni persona, ogni team, ogni divisione/dipartimento deve sapere e conoscere quel che si fa altrove. È tutto parte dello stesso processo. I silos e il lavorare a silos non funzionano. No, credimi.
Esperienza. Durante le prove, ogni guida ha ascoltato e percorso quel che era assegnato alle altre guide. Farlo, ha permesso di migliorare anche la propria parte e di legarla a quella delle altre.
E così in azienda: fare esperienza di quel che succede altrove nell’organizzazione permette di sperimentare, provare, fallire e iterare. E di aggiustare il tiro.
Condivisione. Durante le prove, ogni guida ha ascoltato la parte delle altre guide e ha dato suggerimenti diversi: di interpretazione, ma anche di come memorizzare un testo, come muoversi, ecc. In teatro (e non solo), non possiamo fare a meno di farci guardare (e farci guidare) dall’esterno: non possiamo sapere con certezza di fare bene solo perché conosciamo una parte. Dobbiamo capire se funziona (questa per me è sempre una grande lezione) e poi farla funzionare. Lo specchio aiuta, ma fino a un certo punto. Abbiamo bisogno dello sguardo altrui.
In azienda, condividere best/worst practices tra persone, team e divisioni a cadenza periodica permette di trovare soluzioni anche per sé. Un mio caro amico e super professionista (ciao Beppe) mi ha suggerito un’attività interessante: demolition. In pratica, consiste nel presentare un’idea davanti agli altri team e farsela smontare e demolire. Quante volte ci si innamora di un’idea tanto da non vedere (più) le falle e i difetti?
Comunicazione. In teatro, si usano i copioni e il margine di manovra è davvero piccolo: il testo è quello, si impara e si interpreta. Ma è il come si trasmette a fare tutta la differenza del mondo: con la voce, con il corpo, con l’energia, con il ritmo. A seconda di chi ho di fronte, sceglierò di esprimere quel testo in modi diversi. Per esempio, aggiungendo qualche gesto per migliorarne la comprensione, facendo qualche pausa in più, ecc.
E nelle organizzazioni? Saper dire le cose fa tutta la differenza del mondo. Imparare a dirle nel modo giusto significa prendersi cura di chi dovrà ricevere l’informazione e dell’informazione stessa. E qui torniamo a parlare di feedback e di linguaggio (scegliere le parole, sceglierle con cura) in senso stretto. Come direbbe Watzlawick, dobbiamo prestare attenzione e cura sia al piano della relazione, sia a quello del contenuto. Dire le cose nel modo giusto significa prestare attenzione a chi ho di fronte, scegliendo parole adeguate (linguaggio tecnico versus linguaggio naturale), modi diversi di espressione (assertività versus aggressività, per esempio) e momenti giusti.
E in tutto questo, sapere che qualsiasi cosa mettiamo in scena, in teatro e nella vita, lavorativa e non, facciamo succedere qualcosa. E se quel qualcosa aggiunge valore, beh, dobbiamo solo farlo durare e dargli spazio (cit).
A presto,
Tatiana (e Chiara)
📃Abbiamo parlato di
📍Cose che hanno lasciato un segno
3 cose da sapere il prima possibile
No significa no: ripensare il desiderio maschile attraverso il consenso
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Ho iniziato Il passaggio, di Pietro Grossi, su consiglio di un amico, perché avevo bisogno di un romanzo da alternare al saggio Il cigno nero, di Nassim Nicholas Taleb, che mi piace molto ma non riesco a leggere quando sono troppo stanca.
Lato podcast ho iniziato la seconda stagione di Sigmund, quella che aveva segnalato Tatiana qualche settimana fa, e mi sta piacendo parecchio. La puntata sull’adolescenza è da salvare tra le pietre miliari.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Settimana dedicata allo spettacolo e alla memoria. Quindi pochi aggiornamenti
Letture. Finito La camera azzurra di Georges Simenon. Ora sto cercando ispirazione in giro. Ma ho voglia di studiare un testo e lavorarci su. Potrebbe essere l’intero testo de Il pifferaio magico? Chissà?
Ascolti. Proseguo con i soliti ascolti: La seconda stagione di Sigmund, Orazio di Matteo Caccia, Morning con Nicola Ghittoni, Amare parole di Vera Gheno, Ci vuole una scienza con Beatrice Mautino ed Emanuele Menietti.
Visioni. Proseguo con The Blacklist (4^stagione), La porta rossa (RaiPlay) .
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
📍Informazioni di servizio
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questo simbolo: « ǝ». Cosa significa? È un simbolo fonetico [schwa (o scevà)] utilizzato per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
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Che bella puntata con queste similitudini teatrali, che restituiscono alla perfezione il valore che prende il lavoro personale quando è fatto con (e attraverso) lo sguardo delle altre persone.