Sense-making
Ogni cosa è organizzata. Se poi è anche trovata, ancora meglio. Non basta organizzare un sistema. Quel sistema va progettato intorno alle persone.
Buon 31 marzo, buona primavera, finalmente.
Ebbene sì. Chi scrive ama le mezze stagioni, quelle in cui non si suda, non si annaspa troppo (forse), quelle in cui le giornate si allungano e “come si sta bene fuori casa”. In primavera, in particolare, si rinasce e ci si risveglia dopo il lungo inverno.
Con il cambio dell’ora di ieri non sono un fiore: un’ora in meno mentre si fa tardi non aiuta a regolarizzarsi, ma tant’è. Tra qualche giorno tutto sarà metabolizzato (almeno spero).
Tra venerdì e domenica, sono stata impegnata con la mia compagnia teatrale in uno spettacolo in trasferta a Palazzo dei Musei di Varallo: Per questa mia Valsesia - Visita teatralizzata sui passi di Pietro Calderini. Tra l’altro, la pinacoteca è la seconda in Piemonte per importanza.
Entrare in un museo è sempre una buona idea. Viverlo e farlo vivere ad altre persone è emozionante.
Mentre lo spettacolo si svolgeva, ho ripensato all’architettura dell’informazione e al Giappone.
E, come al solito, andiamo con ordine.
Io sono Tatiana e questa è la newsletter di Kanji, quella che parte ogni lunedì mattina (e a volte il martedì) per arrivare alla tua casella di posta. Se te l’hanno inoltrata e vuoi iscriverti, puoi farlo da qui.

Un oggetto esiste come nodo di un insieme di interazioni, di relazioni.
Carlo Rovelli
Architettura dell’informazione: una definizione
Possiamo considerare l’architettura dell’informazione come una disciplina specifica che ha l’obiettivo di classificare, organizzare e progettare la struttura logica dei contenuti di un qualsiasi spazio (fisico, digitale o fisico e digitale insieme). Ma possiamo anche considerarla come qualcosa di più ampio e che ci riguarda: il suo scopo è quello di creare senso, mettere in relazione, connettere persone e contenuti.
Non è facile trovare una definizione univoca anche perché è una disciplina nata dall’incrocio tra più discipline.
Quando ho bisogno di trovare senso alla disciplina di architettura dell’informazione, il mio punto di riferimento è sempre Luca Rosati. Infatti scrive:
«L’architettura dell’informazione è l’organizzazione dell’informazione all’interno di un ambiente fisico o digitale. Garantisce orientamento, trovabilità, senso, è alla base di ogni forma di user experience design. Ma siccome oggi tutto è informazione, l’architettura dell’informazione riguarda potenzialmente qualunque tipo di ambiente. È architettura dell’informazione l’organizzazione di un negozio, di un museo, di un aeroporto; di una app o di un sito web; del percorso di un paziente (e delle sue informazioni) dall’arrivo in ospedale fino alla dimissione, e così via.»
È la relazione tra contenuti a essere centrale, insieme al creare senso e restituirlo a chi esperisce uno spazio o un sistema. Quindi, l’architettura dell’informazione è il modo in cui organizziamo le parti di un qualcosa perché siano comprensibili.
Vivere e far vivere un museo
Come dicevo all’inizio, un museo può essere uno spazio dove far vivere esperienze particolari, non sempre uguali, ma sempre con senso. Non c’è nulla di casuale.
È proprio il caso del fine settimana scorso al Museo Calderini di Varallo. Ogni spazio, ogni sezione del Museo è organizzata in modo da offrire un percorso prestabilito, ma con senso. Un senso arbitrario che ha deciso e stabilito chi lo ha progettato e organizzato: per esempio, seguendo una logica temporale, per autore, per periodo storico oppure per argomento. Chi lo visita segue un percorso tracciato con qualche spazio di libertà lasciato alle persone, un percorso che accompagna dall’ingresso fino all’uscita.
È la stessa logica, per esempio, che ritroviamo in un supermercato (la disposizione degli scaffali tematici e quel che sugli scaffali appare) o in una stazione, un aeroporto, un ospedale, ecc.
C’è ma non si vede
Durante la due giorni di visita teatralizzata, abbiamo creato un altro percorso di visita, senza però privare senso al senso stesso del museo. Anzi, lo abbiamo arricchito con scene che ne raccontavano aneddoti, storie, biografie, incontri che difficilmente potrebbero essere esperiti in modo diverso in una visita standard.
Ma come abbiamo realizzato questo spettacolo (teatro) nello spettacolo (museo)?
C’entra l’architettura dell’informazione anche qui, che agisce sotto la superficie, nella parte invisibile. Ciò che le persone hanno vissuto ed esperito è il frutto di una progettazione capillare e sotterranea, partita dalla raccolta, classificazione e organizzazione del materiale storico che ha curato un archivista, dalla progettazione delle scene a cura di un regista e fatte vivere da attrici e attori, costruite da costumisti, tecnici audio e luci, fatte esperire e rese trovabili anche grazie alle guide (trait d’union tra una scena e l’altra e tra uno spazio e l’altro). L’intera visita, la parte visibile, è stata resa possibile proprio dall’orchestrazione dell’invisibile, ma senza il quale poco o niente avrebbe funzionato.
Lo stesso spazio fisico ha permesso di essere vissuto in modo diverso e alternativo: abbiamo progettato uno dei tanti possibili percorsi, rispettando i vincoli di un museo (sia della struttura stessa sia nel preservare le opere contenute).
Le guide umane potevano non esserci ed essere sostituite da cartelli e indicazioni, ma hanno aggiunto qualcosa di diverso e, a volte, inaspettato che ha generato valore per le persone: un racconto di un aneddoto, una serie di informazioni pratiche, un supporto nel vedere e guardare in modo diverso un elemento del museo, un aiuto a prestare attenzione a un gradino o ad altro.
Wayfinding in Giappone
E il Giappone?
Sono ormai trascorsi diversi anni dalla mia visita in Giappone, eppure ho il perenne ricordo di come non mi sia mai sentita persa, disorientata, sopraffatta. Ogni cosa è progettata e organizzata a regola d’arte intorno alle persone (se conosci il Giappone sai di cosa sto parlando): le indicazioni nelle intricate reti delle metropolitana, i servizi automatici, i musei, addirittura i passaggi a livello e i cantieri temporanei sono esempi di organizzazione dell’informazione per permettere a chiunque di non perdersi o di non farsi male. In ogni dove ci sono addette e addetti che supportano il wayfinding (che possiamo tradurre con orientamento) o che allertano di fare attenzione al cantiere aperto o alla presenza di un passaggio a livello.
La metropolitana di Tokyo è un esempio perfetto di gestione delle complessità e di progettazione human-centered. Ne ha scritto anche Mariacristina Lavazza in un suo articolo.
Progettare relazioni
Siamo ciò che connettiamo, direbbe Federico Badaloni. E non potrebbe trovarmi più d’accordo.
Architettare l’informazione serve non solo a dare e creare senso alle cose del mondo, ma soprattutto a mettere al centro le persone, tutte le persone, per fare in modo che quelle cose siano trovate, godute ed esperite da chi le cerca e da chi per caso ci si imbatte.
L’architettura dell’informazione progetta quindi relazioni che tengono insieme cose e dà loro senso per le persone, trasformando la complessità in qualcosa di diverso, sensato e sì, anche inaspettato.
E lo fa in modo iterativo, trasformativo perché tutto scorre, tutto evolve. Tutto è collegato, in relazione (Cfr. Homeland, s06_e10).
La prossima volta che visiti un museo, una mostra, esplori una mappa della metropolitana, entri in uno spazio complesso o assisti a un percorso teatrale itinerante, facci caso. Prova a svelare e scoprire le relazioni che stanno dietro.
Buona scoperta, sotto la superficie.
A presto,
Tatiana (e Chiara)
📃Abbiamo parlato di
Su sense-making e human centered design:
📍Cose che hanno lasciato un segno
Si dice architettura dell’informazione non architettura informativa.
"Scusate ma non ho capito, quindi domani la scuola è aperta?"
Nel problem solving – sia personale che aziendale – a volte servono domande scomode.
Architettura dell’informazione: 80 articoli che ne parlano (benissimo) di Luca Rosati
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Dopo un inizio un po’ troppo lento per i miei gusti, mi sono fatta prendere da Inventing Anna, serie Netflix ispirata alla storia della truffatrice Anna Sorokin, e ora la sto divorando.
Continuo con Il cigno nero, il saggio di Nassim Nicholas Taleb, e Tutti gli uomini, di Irene Facheris, uno dei podcast più arricchenti che abbia mai ascoltato.
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Pochi aggiornamenti: la settimana è volata e letture, ascolti e visione sono pressoché gli stessi.
Letture. Proseguo con La camera azzurra di Georges Simenon che ho trovato sui suggerimenti di Goodreads. Scrittura pazzesca. Ho però in lista un libro su service design e uno sulla progettazione collaborativa (ne parlerò più avanti)
Ascolti. La seconda stagione di Sigmund, il podcast ideato e condotto da Daniela Collu per Il Post è stupendo: anche la seconda puntata non tradisce le aspettative. Si scava, si va in profondità. Insomma, se ancora non, ascoltalo. E poi proseguo con i soliti ascolti: Orazio di Matteo Caccia, Morning con Nicola Ghittoni, Amare parole di Vera Gheno, Ci vuole una scienza con Beatrice Mautino ed Emanuele Menietti.
Visioni. Proseguo con The Blacklist (2^stagione), La porta rossa (RaiPlay) .
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
Settimana all’insegna della progettazione e dell’architettura dell’informazione. Nella settimana ci aspetta una giornata verticale sulla progettazione strategica per un’impresa che si sta trasformando che amiamo. Come al solito, si preannunciano giorni impegnativi, ma comunque belli e sfidanti.
📍Informazioni di servizio
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questo simbolo: « ǝ». Cosa significa? È un simbolo fonetico [schwa (o scevà)] utilizzato per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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