Buon 4 novembre e buon lunedì,
oggi mi sento più riposata del solito. Sarà il weekend lungo, sarà la passeggiata in mezzo all’autunno di ieri: oggi mi sento più leggera del solito.
Il 31 ottobre ho fatto nottata con lo spettacolo di Halloween che, tra le altre cose, è stato fighissimo. Mi sono divertita, e tantissimo, grazie soprattutto a compagne e compagni di scena. Che bella coralità.
Abbiamo messo in scena un’esperienza, una storia, che le persone hanno vissuto ed esperito intorno al tema (quest’anno i sette peccati capitali): l’abbiamo raccontata prima, durante e poi dopo.
E, come ogni volta che cavalco il palcoscenico, mi ripeto quanto vorrei fare di più: più spettacoli (compresi concerti), più formazione, più palcoscenici.
Io sono Tatiana e questa è la newsletter di Kanji, quella che parte ogni lunedì mattina (e a volte il martedì) per arrivare alla tua casella di posta. Se te l’hanno inoltrata e vuoi iscriverti, puoi farlo da qui.
Una connessione profonda
È da qualche tempo che ripenso e ritorno al concetto di branding. Vuoi per esperienze in cui lavoro su alcuni progetti di branding, vuoi per riflessioni a più ampio raggio su progetti che mi coinvolgono in prima persona.
Che cosa è un brand (e cosa no)?
Mi sono quasi stufata di ripetere che un brand non è un logo, un nome o un payoff. E nemmeno un sito web o un’insegna. Tutti elementi utili, beninteso, ma non è solo questo. L’unica cosa che ripeto spesso a chi mi chiede un parere è questa (magica) triade: cultura, essenza, esperienza.
Il brand è cultura. Questo significa scegliere i propri valori e pilastri, il motivo per cui si esiste (visione) e come si concretizzano attraverso azioni concrete (mission). Sono sempre i valori che guidano le azioni e i pilastri a sostenerle. Il motivo per cui un brand esiste sottende ogni singola azione che si mette in campo e che diventa promessa, ossia il contratto non scritto tra il brand e le persone, dentro e fuori l’organizzazione. Un brand nasce, cresce e si fortifica dentro, prima di uscire fuori verso il mercato.
Il brand è essenza. Contrariamente a quanto si crede, l’essenza del brand è ciò che mette insieme gli obiettivi di business con i bisogni delle persone a cui si rivolge: quali sono i benefici funzionali, sociali ed emozionali a cui il brand risponde? Quando l’essenza di un brand propende per soddisfare solo gli obiettivi (una parte della medaglia) cammina in un campo minato. L’essenza è sempre qualcosa che definisce un brand per le persone e non per sé stesso. È un insieme: mai solo l’uno e mai solo l’altro. È una storia in cui il brand non è protagonista, ma l’aiutante. Una storia che prende vita ogni momento, ogni istante, per generare esperienza. Qualsiasi cosa un brand dica o faccia è comunicazione e narrazione di una storia complessiva.
Il brand è esperienza. Un brand è una connessione profonda ed emozionale con le persone. È come quel brand le fa sentire, qualsiasi cosa faccia o dica. È come quel brand concorre a creare un'esperienza memorabile che mette le persone al centro e le faccia sentire speciali, uniche e importanti, anche attraverso azioni piccole che, a una prima vista, possono apparire insignificanti.
Quando un brand comunica, attraverso ogni singolo canale e touchpoint, non parla di sé, ma parla di sé in relazione e connessione con le persone a cui si rivolge.
I brand non parlano solo di loro e di come sono belli e bravi (e di come i loro prodotti siano super). I brand costruiscono relazioni, si connettono fino a far risuonare quell’essenza e quella cultura che li connotano. Che sia un post sui social, una pagina del sito web, uno spazio fisico, un evento, un corso, un prodotto o il suo packaging tutto concorre a far rimanere le persone dentro una storia più grande.
La triade cultura, essenza, esperienza è qualcosa che sottende il motivo per cui un brand esiste e che ha a che fare con la risposta che le persone (il mercato) restituiscono in termini di posizionamento, differenziazione e reputazione e che si concretizza con la fiducia e la fedeltà.
È connessione profonda. È un risuonare.
È comunità. È memorabilità. È sentirsi parte.
Non è obbligatorio essere un brand. Si può essere un’azienda anche senza essere un brand. Vero è che è tutta un’altra storia.
Buon inizio settimana,
Tatiana (e Chiara)
📃Abbiamo parlato di
📍Cose che hanno lasciato un segno
Sul cambiare etichette: è questione, anche questa, di (personal) branding
Storie di sessismo e molestie sessuali nelle scuole di giornalismo italiane
Cos’è accaduto a Valencia, spiegato bene
📚🎧📺 Stiamo leggendo/ascoltando/guardando
Le letture, gli ascolti e le visioni di Chiara
Ho quasi finito Ricordatemi come vi pare, di Michela Murgia, e mi sta piacendo moltissimo, sia nella parte dedicata al racconto autobiografico sia nella parte di lettura della situazione politica italiana, ancora molto attuale nonostante risalga a più di un anno fa.
Podcast ancora in pausa, ma da questa settimana riprendo le trasferte e ho già una serie di cose in lista da ascoltare. Nel weekend invece riposo e TV per bambini, mi sono riguardata Lilo & Stitch e l’ho adorato come quando era appena uscito, nel 2002 (!).
Le letture, gli ascolti e le visioni di Tatiana
Letture. Proseguo felice con Tomorrow, and Tomorrow, and Tomorrow di Gabrielle Zevin. «Un romanzo che è un inno al nostro bisogno di amare e di essere amati».
Ascolti. Le nuove puntate della nuova stagione di Piccoli, non sfigati mi hanno molto colpita e hanno concorso alla scrittura di questa puntata che ruota intorno al branding. Proseguo con i soliti ascolti dei podcast de Il Post.
Visioni. Proseguo con XFactor ogni giovedì. La puntata di giovedì 31 ottobre l’ho vista in differita venerdì pomeriggio mentre tentavo di riprendermi dalle fatiche della notte. Ho finito Kaos e iniziato la nuova stagione di Teresa Battaglia (RaiPlay).
Tengo traccia dei libri che leggo su Goodreads. Ci sei anche tu?
🔎[Cosa stiamo facendo] Notizie dal mondo Kanji
Questa settimana rivedremo con grande gioia una persona che seguiamo da un paio d’anni e che ormai è diventata un’amica, oltre che una cliente storica <3
Nel frattempo proseguono impegni laboratoriali e nuovi progetti.
📍Informazioni di servizio
Cerchiamo di usare un linguaggio rispetto e inclusivo. Nel testo potresti trovare questo simbolo: « ǝ». Cosa significa? È un simbolo fonetico [schwa (o scevà)] utilizzato per non fare differenze, rispettando l’identità di genere di ognuno. Ne abbiamo parlato in una newsletter: voce del verbo includere.
Ogni tanto, nei consigli di lettura dei libri che leggiamo, o abbiamo letto, c'è un link con un codice di affiliazione. Questo significa che se clicchi e poi compri una di noi prende una piccolissima percentuale. È giusto e corretto che tu lo sappia e decida di conseguenza cosa fare. ;)
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